Avrebbero richiesto meno per un caso di rapina a mano armata, i procuratore milanesi Tiziana Siciliano e Fabio Gaglio, che vorrebbero Silvio Berlusconi in galera per sei anni, e poi confiscargli dieci milioni di euro, come condanna per corruzione in atti giudiziari nel processo “Ruby ter”. Non va meglio per la stessa Karima El Marhoug, che viene paragonata, in un momento di megalomania del pm, alla moglie di Mario Chiesa, come se, raccontando di qualche serata ad Arcore, avesse fatto scoprire una nuova Tangentopoli: per lei manette per cinque anni. E poi tutti gli altri, a scendere.

Ormai si raschia il barile, e a Milano si celebrano solo processi-spazzatura, anche se con l’arroganza di sempre. Si cerca la rivincita nei confronti di chi, come Berlusconi, è stato assolto nel processo principale da una concussione sempre negata dalla presunta vittima e da un’infamante quanto inesistente prostituzione minorile. E allora la si prende alla larga: se te la sei cavata è solo perché hai avvelenato i pozzi, e ti sei comprato i testimoni. Innocente mai. Per la procura di Milano Silvio Berlusconi è come l’agnello nella favoletta di Fedro. Qualcosa avrà fatto. Ma la vera domanda è: chi è che sta intorbidando le acque della giustizia?

Un processo senza movente e senza prove, che si snoda nello spazio e nel tempo con il numero uno, il bis e il ter, e quest’ultimo a sua volta spezzettato tra Milano, Roma e Siena. Neanche si trattasse di un processo per strage e si attendesse un qualche Spatuzza per un barlume di verità. Intanto otto anni sono già passati, e il Grande Imputato viene continuamente dichiarato non colpevole. E mai è mancata l’evidenza mediatica, legata più all’importanza del personaggio trascinato alla sbarra, che non alla consistenza dei reati. Anche perché Silvio Berlusconi è stato assolto in via definitiva dai due reati che gli erano stati contestati, concussione e prostituzione minorile, ma anche dalla corruzione. Non esiste in questa storia, se non sulla bocca dei pubblici accusatori e dei giornalisti più fanatici, un delitto definito “serate di Arcore” o “bunga bunga”, termine diventato addirittura di rilievo internazionale. Quindi quali sono le verità inconfessabili per le quali occorre pagare per ottenere il silenzio? Certamente non sono reati.

Il succo del processo è tutto qui, ed è il solo punto su cui, a partire dai due pubblici ministeri, la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio, non viene mai fornito un chiarimento che abbia qualche parvenza di razionalità. Berlusconi è accusato di aver corrotto una serie di persone (a loro volta imputate nel processo) perché testimoniassero il falso nell’aula in cui lui doveva rispondere di un reato da cui è stato assolto. E’ stato dichiarato non colpevole da una corte d’appello e da una sezione della cassazione. Altri reati non sono mai entrati in quelle aule di tribunale. Ma la Procura di Milano, che avrebbe la necessità urgente di un ampio esame di coscienza sulla disinvoltura con cui ha applicato il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale in tutti questi anni, a partire da quelli di Tangentopoli, non ha mollato la presa. E neanche la preda. Non potendo, in base al principio del “ne bis in idem”, ricominciare tutto da capo nei confronti del Grande Nemico, quel “cavaliere nero” preso di mira fin da quell’invito a comparire recapitato nel 1994 a Napoli mentre il Presidente del Consiglio presiedeva un incontro internazionale sulla criminalità, ha dirottato le proprie attenzioni sui testimoni. Avrebbero mentito perché sono stati corrotti.

Su che cosa avrebbero mentito? Su quel che “succedeva davvero” in quelle serate ad Arcore. Ma che cosa succedeva davvero? Sesso droga e rock and roll? Prostituzione? Bunga bunga? Nessuno lo dice mai, come se ci trovassimo ogni volta davanti alla Santa Inquisizione, quella che giudica e sanziona i peccati. Tra l’altro, la conoscete la barzelletta del “bunga bunga”? Due uomini vengono sequestrati da un gruppo di guerriglieri in un paese africano. Viene loro lasciata un’opzione: la morte o il bunga bunga. Il primo sceglie la seconda via e viene sodomizzato, l’altro preferisce la morte, ma il capo dei guerriglieri gli dice: ok, ma prima un po’ di bunga bunga.

È una storiella che qualcuno ha raccontato una sera, poi Berlusconi l’ha rivisitata e ha dato ai due sequestrati le sembianze e l’identità di due esponenti politici di Forza Italia, e tutti a ridere. Se non esiste il reato di barzelletta, neanche se è un po’ stupidina, non esiste neppure quello di prostituzione, e men che meno quello di elargizione di denaro o di mantenimento. Silvio Berlusconi, con grande generosità, ha aiutato una serie di persone, in gran parte ragazze che venivano invitate alle sue cene, con un contributo economico, quasi a titolo di risarcimento per le occasione di lavoro mancate e la reputazione finita nella polvere proprio per il processo. Lo ha fatto in modo chiaro e legale, quasi plateale, non certo con mancette passate sottobanco.

Il pubblico ministero Luca Gaglio ha un’altra visione delle cose, e ieri ha usato la mano pesante: “Emerge in modo chiaro che viene assicurato alle ragazze che sarebbero state ‘a posto’ con un reddito base mensile di 2.500 euro e di avere un tetto, una casa un alloggio”. E quindi? E quindi il gesto avrebbe avuto il fine di garantire il loro silenzio su “quel che succedeva”. Ma in quale reato consistesse quel che succedeva, una volta di più viene taciuto. Le testimoni sarebbero state aiutate economicamente “per rendere false testimonianze, per mentire in tribunale e non lasciare dichiarazioni ai media in senso contrario”. Come già la procuratrice Siciliano, che nella prima parte della requisitoria aveva descritto queste ragazze come persone insignificanti se non per la loro bellezza, del resto ormai tramontata, aveva aggiunto con perfidia tutta femminile, anche il pm Gaglio le tratta con sprezzo come capricciose e avide. Volevano la casa nella zona più bella di Milano, per esempio.

Ma gli esponenti della Procura sanno benissimo di aver commesso un errore procedurale ormai irreparabile, dopo l’ordinanza del tribunale del novembre scorso. Perché le hanno convocate come testi (obbligate a dire la verità e senza l’assistenza del difensore), pur dopo aver compiuto quegli atti d’indagine che avrebbero necessitato una loro iscrizione nel registro degli indagati e di conseguenza l’obbligo di interrogarle in quella veste e con tutte le garanzie del caso. C’è poco da giudicare la loro moralità o la loro avidità, quindi. C’è poco da mettersi in cattedra. Ma forse sarebbe opportuno che questi “procuratori che sbagliano”, dovessero ogni tanto rispondere a qualcuno. Ma loro sono innocenti a prescindere. Al contrario di Berlusconi, che ai loro occhi deve quanto meno esser nato già colpevole.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.