“Amico di Putin”, l’accusa infamante fiorisce sulla bocca di una pm in un processo in cui non c’entra niente, ma c’entra molto con il bisogno di creare simpatia su di sé e disprezzo sull’imputato. Siamo a Milano, nell’aula del “Ruby-ter”, la pm è Tiziana Siciliano, procuratrice aggiunta e sopravvissuta alle macerie dell’ufficio che fu di Francesco Greco e oggi è presieduto da Marcello Viola. L’imputato è Silvio Berlusconi, che non è accusato di simpatia per il nemico numero uno dei politicamente corretti, ma di corruzione di testimoni. Un reato le cui prove stanno evaporando giorno dopo giorno. Altro che riscossa della Procura di Milano contro il “cavaliere nero”!

La requisitoria della pm Tiziana Siciliano al processo Rubi-ter è costretta a rifugiarsi laddove un magistrato non dovrebbe mai avventurarsi, cioè nella confusione tra il reato e il reo, per convincere il tribunale a condannare l’imputato, insieme a ventotto “complici”, per corruzione in atti giudiziari. Come se la procura in mano non avesse né prove né indizi. Come se dire “sultano” o “grande anziano” o “amico di Putin” e “schiave sessuali” servisse non solo a riempire l’aula di immagini, ma anche a dare a chi la ascolta la visione plastica di una situazione orgiastica da sanzionare nell’aula di un tribunale. Giustamente il difensore di Berlusconi, Federico Cecconi, lamenta il ricorso, da parte dell’accusa, a epiteti volgari e cattivo gusto. E ricorda che il suo assistito è già stato giudicato innocente. Non solo nel processo principale, che non avrebbe mai dovuto esistere, se non nelle fantasie della Procura più ideologica d’Italia e nella pervicacia insistente di Ilda Boccassini, che ne racconta ampiamente nel suo libro, quasi si fosse trattato di un corpo a corpo con il “nemico”. Ma anche nel primo del filone “Rubi-ter”.

La storia di questo processo, che sta arrivando verso il traguardo dopo ben otto anni, avrebbe dovuto essere il momento della rivincita della Procura di Milano, dopo lo smacco subito perché l’ex Presidente del consiglio, spiato, pedinato e controllato nelle sue abitudini e amicizie e infine trascinato in tribunale con l’accusa infamante di prostituzione minorile, era stato assolto in appello e cassazione con formula piena. La pubblica accusa aveva quindi dirottato l’attenzione sulle tante persone che al dibattimento erano andate a testimoniare. Tutti coloro che avevano descritto le cene di Arcore come semplici serate piacevoli tra amici, non solo avevano giurato il falso, secondo la Procura, ma lo avevano fatto perché erano stati corrotti. Il particolare che sfugge sempre ai più, e che viene costantemente tralasciato dalle cronache, è che il “processo Ruby” non riguardava orge e peccati, e neanche un giro di sfruttamento della prostituzione, ma un sospetto di concussione, che il Presidente del consiglio avrebbe esercitato tra un dirigente della questura di Milano, il quale ha sempre negato di essersi sentito in qualche modo costretto, reato che sarà presto accantonato dalla stessa accusa.

Perché il nocciolo politico era un altro: il Presidente del Consiglio andava punito perché era un puttaniere, e tutte le ragazze (a un certo punto chiamate con disprezzo “Olgettine”, dal nome della via dove alcune abitavano) erano prostitute. Il che naturalmente non era vero, ma ce ne era una, la famosa Ruby, che non aveva ancora compiuto diciotto anni, mancavano pochi mesi. E qui arriviamo al secondo reato, quello che arriverà, con l’assoluzione dell’imputato, quello di prostituzione minorile.
Quindi, il centro di tutto questo indagare, quale è? In che cosa avrebbero mentito, per denaro, tutti questi testimoni? L’unica informazione che avrebbero potuto dare per essere considerati sinceri dalla Procura e inguaiare Berlusconi, era quella sull’età di Ruby, e sul fatto che il leader di Forza Italia fosse o meno a conoscenza di avere di fronte una minorenne che si prostituiva. Ammesso che le cose stessero così. Tutto il resto è irrilevante, dal punto di vista processuale. Pure, né la dottoressa Boccassini, né le tre giudici del primo processo, quelle che Berlusconi aveva definite “comuniste e femministe” e che avevano condannato e ora anche la pm Siciliano, hanno avuto la forza di sottrarsi al moralismo e alla tentazione di giudicare l’uomo invece che il reato.

Con sprezzo, a volte con volgarità. Anche le ragazze, nelle parole di ieri di Tiziana Siciliano: “…processiamo un gruppo di donne la cui caratteristica principale, causativa di guai, è la bellezza, ormai passata, all’epoca erano molto giovani”. In realtà, tutto questo circo mediatico-giudiziario finisce con essere solo un diversivo dalla sostanza del processo. Perché negli ultimi mesi sono accaduti due fatti di grande rilevanza. La prima riguarda la clamorosa assoluzione del pianista Danilo Mariani e dello stesso Berlusconi dello stesso reato che si sta giudicando a Milano. La sentenza è stata emessa dal tribunale di Siena, dove una costola dell’inchiesta era stata trasferita per competenza territoriale: “Il fatto non sussiste” . Se l’ex presidente del consiglio non ha corrotto il pianista, perché lo avrebbe fatto con altre persone? Qui si innesta l’altra grande novità dei mesi scorsi, la vera pietra che potrebbe trasformarsi in valanga e travolgere la pubblica accusa portando Berlusconi verso un’altra assoluzione piena.
Qui la relazione tra colleghe si fa esilarante, con la dottoressa Siciliano che lamenta l’eccessiva riservatezza di Ilda Boccassini, che avrebbe tenuto segrete le carte del processo, “il suo fascicolo era blindato”.

Per questa motivo, par di capire, la procura di Milano, pur avendo già compiuto atti investigativi, come per esempio una richiesta di informazioni presso la Banca d’Italia, nei confronti di una serie di persone, non le hai poi interrogate come indagate, quindi con tutte le tutele compresa la presenza di un difensore, ma come testimoni. Svista, ingenuità, colpa della riservatezza di Boccassini? Ora, senza voler accusare nessuno, chiunque abbia pratica di Palazzi di giustizia sa benissimo che questo è un vecchio espediente di tanti procuratori. Lo hanno fatto negli anni del terrorismo, lo hanno ripetuto con tangentopoli. Fatto sta che, di chiunque sia la responsabilità, il tribunale nel novembre scorso ha emesso un’ordinanza per annullare tutte le deposizioni della maggior parte di coloro che erano stati interrogati come testimoni e che sono stati indagati solo in un secondo momento.

La dottoressa Siciliano lancia una provocazione: “Se dovessero emergere elementi che potrebbero far dubitare della correttezza processuale… si vada anche verso un procedimento disciplinare”. E chiede invano la revoca dell’ordinanza. Ma ormai le cose sono andate così. E anche gli uomini e le donne della Procura di Milano dovranno arrendersi al fatto che se, per qualche motivo soggettivo o oggettivo, le regole sono saltate, la cosa non passa più inosservata. L’aria è proprio cambiata.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.