L’assoluzione del Cavaliere dal processo Ruby ter, arrivata in serata, è l’happy end di una lunga salmodia giudiziaria. “Il fatto non sussiste”, la conclusione del collegio giudicante di Siena. È la conferma che uno dei più grandi – e controversi – leader politici della Seconda Repubblica è stato perseguitato dai magistrati (si tratta della sessantesima assoluzione, andando a naso). Naturalmente non è cronaca giudiziaria: è un fatto tutto politico. Un ciclo si chiude e uno nuovo, inesorabilmente, si apre. E suggella il ritorno di Berlusconi in campo non più solo come leader di una parte, ma come candidato presidente della Repubblica per uno schieramento più ampio. Di “risarcimento morale necessario” parlano i suoi, a partire da quel Comitato elettorale quirinalizio che Walter Lavitola si è messo in testa di impiantare per far parlare i numeri, sentendo uno a uno i grandi elettori.

La notizia dell’assoluzione dall’annoso processo Ruby libera energia rigenerante in un quadrante alle prese con il redde rationem della sconfitta elettorale. L’incontro a tre – Berlusconi, Salvini, Meloni – senza conclusioni capaci di mettere in campo un progetto nuovo era parso alla delegazione di Forza Italia al governo come l’ennesima resa a Lega e Fdi. Berlusconi – che era stato a Roma mercoledì e ieri era a Bruxelles per la riunione dei popolari europei, dove ha incontrato anche Angela Merkel, ha speso tutto stesso per smentire: il clima è unitario, si ragiona sulla federazione di centrodestra e l’accoglienza nel Ppe “non preoccupata” per eventuali derive estremiste nel centrodestra italiano. «Sono tutti fiduciosi in me, mi conoscono da tantissimi anni. I miei alleati hanno la metà della mia età. E quindi capirai, se devo preoccuparmi….sono il professore in cattedra e loro gli allievi», ha detto di Salvini e Meloni. Sotto la cenere, però, il fuoco cova ancora. Lo strappo di Mariastella Gelmini (“Non mi riconosco più in Forza Italia”) è forte. Ieri anche la ministra Carfagna è corsa in suo soccorso: «Non si è trattato di uno sfogo della ministra Gelmini ma di una denuncia politica sulla gestione del partito che è largamente condivisa da molti parlamentari, dirigenti, molti amministratori ed eventualmente anche molti elettori».

Sul piatto c’è l’incubo della confluenza verso il partito unico con Salvini, che proprio ieri ha tenuto a porte chiuse una riunione della direzione leghista. «La linea la faccio io, che sono il segretario», avrebbe detto, contando anche sull’assenza di Giorgetti che era negli Stati Uniti. Ma Salvini si è mostrato parecchio nervoso durante l’incontro coi parlamentari, nel corso del quale ha stigmatizzato l’atteggiamento di Fratelli d’Italia, che fa «scientemente opposizione per mettere in difficoltà la Lega e il centrodestra». «Se Berlusconi vuole candidarsi al Quirinale, è lecito», ha ribadito viceversa aprendo a Forza Italia. Facendo capire che i numeri per eleggere il prossimo inquilino del Colle sono in mano al centrodestra. «La prossima settimana vedrò di nuovo Berlusconi e i ministri forzisti. Certamente Berlusconi avrebbe, per il Quirinale, l’appoggio di tutto il centrodestra», garantisce. Sembra più una captatio benevolentiae che una strategia puntuale. Perché alla votazione per il presidente della Repubblica si procede per “chiame” che segnano l’affinamento del profilo. Alle prime due si votano i candidati di bandiera, dalla terza in poi si fa sul serio. E l’impressione degli analisti è che la Lega al dunque fermerà i suoi grandi elettori alle prime chiame.
Sullo sfondo rimane la riorganizzazione generale di uno schieramento che deve ripensare se stesso, con lo scontro tra le due destre, liberali e moderati contro populisti e sovranisti. Le urne hanno dato indicazioni chiare, in tal senso.

L’analisi dei flussi ha dimostrato come gli elettori liberali di centrodestra abbiano optato per Calenda a Roma e per Sala a Milano, piuttosto che per candidati vicini a Salvini e Meloni. Ecco che Coraggio Italia, il gruppo di Brugnaro e Toti, si appresta a crescere. Nelle sue fila, ci viene detto, ci saranno novità: ai 32 parlamentari oggi presenti – 25 deputati, 7 senatori – si aggiungeranno presto sette o otto appartenenti al gruppo di Forza Italia. «Stiamo costruendo un cantiere aperto, liberale e popolare, che andrà da Renzi a Toti passando per Calenda e Carfagna», ci rivela una fonte che al progetto sta lavorando da tempo. «Per il Quirinale questa forza sarà decisiva: inclusi Italia Viva, Azione e alcuni nuovi acquisti dal Misto esprimeremo ottanta voti, tutti decisi ad ancorare il Colle al centro». Le quotazioni di Casini salgono, si legge in controluce. Quelle di Berlusconi sono date a 8 su 10 da un ottimista come Elio Vito. E Draghi? Se ne preoccupa lo stesso Cavaliere: «Sarebbe un ottimo presidente della Repubblica, ma da premier è più utile al Paese». Berlusconi e Gelmini saranno insieme domenica, al convegno annuale della fondazione Democrazia Cristiana. L’occasione giusta per siglare la pace, guardando alla storia.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.