Agostino Saccà, a lungo Direttore generale della Rai, due volte direttore di Rai Uno, poi produttore cinematografico dagli innumerevoli successi, è noto per il fiuto sui personaggi. Quelli di talento, umano e politico prima ancora che artistico. Ha conosciuto da vicino e apprezzato Bettino Craxi e Silvio Berlusconi ma oggi non ha dubbi: la personalità di maggiore qualità politica, destinata a incidere di più nella storia del nuovo secolo, è una donna.

C’è una figura atipica, nella politica italiana, che sembra indovinare tutte le mosse. Inclusi gli azzardi, come nel caso del viaggio a Washington fissato prima che fossero posticipati i dazi. Sto parlando di Giorgia Meloni. La protagonista del film a cui assistiamo ogni giorno in questo nuovo show che è diventata la realtà.
«Meloni incarna il primato della politica. Se pensi a lei, pensi alla politica. È una donna che sin da giovanissima si appassiona a un’idea, milita in una organizzazione. E impara ben presto che la politica prevale sull’ideologia e consente di avere una visione a cui ispirare le azioni di ogni giorno. Se lei avesse il deformante dell’ideologia, qualche volta sbaglierebbe. E invece sbaglia rarissimamente».

Qual è la sua chiave vincente?
«È in sintonia con i sentimenti profondi e con gli interessi veri delle persone reali. Questo le deriva dall’attitudine a leggere tutto in chiave politica. E le dà una grande forza. La spinta necessaria a capire in che momento stiamo vivendo. Prova ne sia che dopo due anni e mezzo di mandato, il suo gradimento aumenta».

Interpreta il nostro tempo, così diverso dal secolo scorso…
«Il Novecento è finito, è morto. Molti non se ne sono accorti. Lei sì. Se le idee, le ideologie, i pregiudizi del Novecento fossero ancora vivi, Meloni avrebbe al massimo il 10%. Lei parte nel suo agire politico dalla constatazione di vivere nel post-Novecento. E per questo è in grado di capire i processi profondi. Che la fanno apprezzare da Draghi, da Biden, da Trump e da von der Leyen. È in sintonia con la contemporaneità come non lo è nessun altro. Perciò raccoglie una stima così trasversale».

Eppure punta a un richiamo identitario forte.
«La complessità e la forza di una personalità politica che proviene dal nulla, come underdog, ma anche dal nulla politico, non si capirebbe senza afferrare il suo punto centrale: è tra i pochissimi ad avere una consapevolezza profonda della crisi dell’Occidente. Che ha acquisito studiando. E si capisce nei suoi riferimenti. Conosce i filosofi conservatori europei e americani. Ha studiato il Manifesto dei conservatori di Roger Scruton. Ha letto Ezra Pound e Tomas Elliot, che, benché di destra, sono tra i più grandi poeti del Novecento. Li ha letti, li ha capiti e li ha interpretati. Ha capito il senso della Terra Desolata di Elliot, ancora oggi una metafora dell’Europa. Anche questo le dà grande forza».

Ne parla in maniera quasi elegiaca, ma lei nasce come uomo di sinistra. È stato socialista.
«Io parlo di Giorgia Meloni in maniera razionale, non mitologica. E sì, sono stato e sono ancora socialista. Guardo per prima cosa agli ultimi. Però sento che le pulsioni socialiste sono presenti più nel centrodestra che nel centrosinistra. Chi ha abbassato in maniera strutturale le tasse, incidendo sul cuneo fiscale? Meloni. In più posso rivelarle una cosa: sento tra tantissimi amici socialisti e liberaldemocratici una attenzione grande verso questa donna. D’altronde lo dimostra anche Carlo Calenda, che ha una sensibilità politica notevole: è necessario allargare e aprire ponti, non chiudere varchi. Decine di persone che conosco, di area liberalsocialista, voteranno Meloni nel futuro».

Lei è stato vicino a Bettino Craxi, c’è qualcosa di lui che rivede in Meloni?
«Sono stato dirigente apicale della Federazione Giovanile Socialista, nella segreteria: ero vicino a Craxi anche prima del Midas, quando Craxi era il pupillo di Nenni. Ne ho poi approfondito la figura più di recente, producendo Hammamet, diretto magistralmente da Gianni Amelio. Anche in Craxi il primato della politica era la stella polare e anche lui nasceva come underdog: si era fatto le ossa in una sezione Psi della periferia milanese. Visse sempre con un certo distacco dall’establishment che lo blandiva. Proprio come Meloni».

E Silvio Berlusconi? Per certi versi, biograficamente, agli antipodi di Meloni.
«Però avevano una cosa in comune: la cultura del conservatorismo. Berlusconi, al di là delle apparenze, era un grande conservatore. Sapeva che in un paese come il nostro ci sono più cose da conservare e forse da riformare che da distruggere.
Come Meloni. Una conservatrice nel senso politico alto e profondo del termine. Non ci dimentichiamo che è stato Berlusconi a valorizzarla, a scoprirla. L’ha voluta lanciare lui come sua giovanissima ministra: mi ricordo che parlava del suo eccezionale talento politico».

Poi come è noto, quell’idillio si è rotto, come abbiamo appreso dalle note che stringeva in mano l’ultima volta del Cavaliere in Senato.
«Sì, perché l’allieva si è allontanata dal maestro. E i maestri ci rimangono male».

Quanto conta la fortuna in politica? Si combina con il talento?
«Il talento e la fortuna devono andare a braccetto, diceva Machiavelli nel Principe. L’azione di governo ha bisogno di chi capisce gli attimi e li sa afferrare. Una cosa giusta, se fatta con un giorno di ritardo, non è più giusta. Meloni quando deve agire, agisce. Se capisce che non è il momento, sa stare immobile. E questa è una dote politica fondamentale».

Lei ha prodotto film che hanno fatto la storia del cinema italiano. Su Giorgia Meloni c’è già materia per un film?
«Non adesso: la sua storia è nel vivo. In pieno svolgimento: ha ancora tanto da dire e tanto da fare. I film sui contemporanei rischiano di diventare film d’occasione. Perdono quella giusta distanza che è necessaria per fissare meglio i fatti nel tempo. Meloni può essere oggetto di riflessioni politiche come quelle che stiamo provando a fare noi oggi con questa conversazione».

Meloni è un personaggio complesso, animato da una grande energia.
«L’energia vitale appartiene ai leader. I capibranco, in natura, traggono l’energia dagli altri e la convogliano. Hanno una vocazione che trasformano in dovere».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.