Sullo smart working nella Pubblica Amministrazione il ministro Renato Brunetta è stato categorico: «Bisogna tornare a lavorare in presenza». Una posizione che incontra le resistenze di un’ampia platea degli interessati, rappresentati dai sindacati autonomi e dalla Uil Pa, oltre che dalle altre sigle confederali. E la querelle proietta un’ombra sull’imminente rinnovo del contratto per le amministrazioni centrali dello Stato, prevista da qui a un mese. Tiziana Cignarelli, segretaria generale della Codirp, sigla ammiraglia dei Dirigenti pubblici, guida il fronte avverso: «È un gran peccato perdere l’esperienza fatta durante il lockdown sul lavoro agile. Abbiamo lavorato in presenza per cinquanta anni senza con questo garantire efficienza, ci sono invece diverse riprove di quanto si sia stati produttivi da casa».

In effetti gli studi ci sono. Ce n’è uno del Politecnico di Milano che indica un aumento della produttività del 15% sugli obiettivi, con il lavoro agile. Senza contare il minore assenteismo. Microsoft applica lo smartworking su scala planetaria. Non è amministrazione pubblica, ma anche superando la pandemia hanno deciso che il 77% dei dipendenti potrà rimanere in smartworking, visto l’aumento del rendimento. Con la premessa che smartworking (lavoro per obiettivi) non significa solo remote working (lavoro da casa), ma riorganizzazione del lavoro per raggiungimento di obiettivi e di parametri di soddisfazione del cliente; dati che le aziende private considerano prioritari, rispetto alla P.A. «Non tutti sanno che esiste anche un osservatorio pubblico sullo smartworking nella P.A., ci chiediamo come mai quell’osservatorio non stia svolgendo il proprio ruolo», rincara la dose Cignarelli. «Quella era la sede per verificare la produttività dello smartworking.

L’organizzazione ufficiocentrica è un ricordo del passato. Il lavoro agile può e deve essere una occasione di cambiamento del lavoro che deve procedere per obiettivi», prosegue la segretaria del Codirp. «Cosa non ha funzionato, finora? Il lavoro per obiettivi o la tecnologia, con piattaforme scadenti e connessioni di rete incerte? Bisogna investire sulla sicurezza, sull’efficientamento tecnologico», auspicano i confederati. Sandro Colombi, Segretario generale Uil PA, ha una posizione dialettica: «Noi abbiamo detto in tempi non sospetti che l’utilizzo dello smart working era funzionale al contenimento dell’emergenza. Poi, un po’ impropriamente, si è voluto far passare il messaggio che tutti i dipendenti pubblici siano rimasti a casa. In realtà solo il 50% ha lavorato da remoto». Ed ora?
«Oggi abbiamo la straordinaria opportunità del nuovo contratto nel quale vogliamo integrare un discorso a tutto tondo sul lavoro agile. Il comparto funzioni centrali si chiuderà entro questo mese, ne stiamo parlando con l’Aran (l’Agenzia per la rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, ndr).

Per la Uil «ci vuole un inquadramento di legge che lo regoli e che lo contrattualizzi con indicazioni certe e chiare, ben capibili dal lavoratore e soprattutto che portino a un miglioramento del lavoro per tutti, non in balia della politica. Ogni singola amministrazione ha esigenze diverse l’una dall’altra. Dipende dai casi e dalle funzioni. Alcune hanno quasi un obbligo di remotizzazione, perché si lavora su pratiche che non ha senso portare in un ufficio fisico». I sindacati concordano su un punto centrale: «Lavorare da remoto può dare qualità al lavoro, perché si contraggono i tempi morti, si riduce lo stress e la qualità della vita incide su quella del lavoro». Adesso si dovrà dare una risposta corale anche sul Green pass e alle sue applicazioni da casa. Il dipendente della P.A. in smartworking deve essere tenuto a esibire il certificato verde come se fosse in ufficio? Codirp è favorevole «anche da remoto. È uno strumento di orientamento che passa per la sicurezza dei lavoratori».

Lo smart working non potrà essere, almeno in via formale, una alternativa al possesso del green pass anche se, con ogni probabilità, nelle occasioni in cui si lavora da casa non si sarà chiamati a esibire il certificato. Regole e interpretazioni ufficiali ancora non ce ne sono. Il decreto che estende l’obbligo per l’accesso a tutti i luoghi di lavoro non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ma la lettura che si va consolidando tra tecnici e addetti ai lavori è che chi non è vaccinato e non si sottopone al tampone non potrà ottenere in automatico l’ok allo smart working perché non si vuole creare, e così sarà quantomeno nel pubblico, alcuna corsia preferenziale a no vax e no green pass. Il processo per il ritorno allo sportello o in ufficio, cui le amministrazioni stanno iniziando a prepararsi, sarà invece oggetto di due diversi provvedimenti: da un lato un Dpcm con cui si tornerà a stabilire che il lavoro in presenza è la modalità “ordinaria” per svolgere la propria mansione.

Dall’altro, un apposito atto ministeriale che detterà i criteri per il rientro graduale, partendo da chi offre servizi diretti al cittadino, seguiti dal backoffice e così via fino al ritorno di tutti i dipendenti pubblici in presenza. Il nuovo set di regole per il lavoro agile, che serviranno quando finirà lo stato di emergenza, sarà invece definito all’interno del rinnovo del contratto. Stando alle prime bozze – che saranno oggetto di nuovi incontri all’Aran a partire da mercoledì 22 – il documento ricalca in gran parte quanto già previsto dalla legge sul lavoro agile del 2017, compresa l’indicazione di dare priorità alle mamme nei primi tre anni dopo la maternità, i lavoratori disabili o che hanno figli con disabilità da accudire. Saranno previste tre fasce di lavoro da remoto: operatività, contattabilità e inoperabilità, mentre giorni e orari in cui svolgere lo smart working dovranno essere oggetto dell’accordo scritto tra amministrazioni e singolo dipendente. Intanto ogni ufficio si deve riorganizzare il lavoro in vista di metà ottobre, quando si tornerà in presenza in modo più massiccio e ci sarà da controllare il possesso del green pass. Dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici sarebbero circa 300mila, secondo le stime, a non essersi immunizzati e tra questi sono compresi, viene sottolineato, anche tutti quei soggetti che sono esentati dal vaccino per motivi di salute.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.