Non ha ancora una condanna definitiva
“Sono vecchio, non vedo e non sento più”, l’appello del detenuto di 88 anni
«Sono vecchio, stanco. Ormai non vedo e non sento più». Un appello disperato pronunciato di fronte ai giudici del Tribunale di Napoli. Una dichiarazione spontanea fatta in aula, a fine udienza, due giorni fa, come a invocare una pena più umana. Parla Carmine Montescuro, classe 1934, zì Minuccio per quelli della zona di Sant’Erasmo e del centro storico di Napoli, un tempo boss, oggi il detenuto più anziano della Campania, forse d’Italia. Ottantotto anni, diabetico, con gravi problemi alla vista.
È in carcere da molti mesi, dopo una violazione delle prescrizioni previste dal regime di detenzione domiciliare che gli era stato concesso proprio a causa delle sue condizioni di salute. I giudici che nel 2019 avevano analizzato la sua cartella clinica lo avevano ritenuto, infatti, incompatibile con il regime detentivo. Immaginate cosa possa voler dire tornare in carcere a 88 anni, con tutta una serie di patologie che rendono la reclusione invivibile per chi la patisce e difficile per chi deve gestirla. Montescuro è recluso nel carcere di Secondigliano. Per la giustizia è un uomo pericoloso al punto da dover stare in una cella nonostante sia ormai un uomo vecchio e malato. Un articolo dell’ordinamento penitenziario, il 47 ter, seppure con determinati paletti dovuti a pericolosità sociale e aggravanti, prevede che la pena detentiva inflitta a una persona che abbia compiuto i settanta anni di età «può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza». È una sorta di detenzione domiciliare con una finalità umanitaria motivata dal fatto che superata una certa età la reclusione in carcere diventa più invivibile. Anche la Costituzione, all’articolo 27, stabilisce che la condanna non sfoci in tortura e che sia sempre nei limiti dell’umanità. E cosa c’è di umano a tenere in una cella un uomo tanto anziano e malato? Montescuro sta affrontando un processo per associazione finalizzata alle rapine, e per quello si trova in carcere.
La sua storia è uno di quei casi in cui il passato criminale del detenuto pesa più di ogni valutazione in termini di umanità, garantismo, principi costituzionali. Un altro caso Cutolo in questo senso. Giustizia o tortura? Dilemma antico. Qualche mese fa a Napoli si registrò la morte di un detenuto 84enne, il vecchio boss Marandino. «Era una persona anziana con precedenti penali – spiegò il garante Ciambriello – ma questo giustifica il fatto che sia stato fatto morire nell’assoluta solitudine?». Storie che riaprono riflessioni sulla tutela della salute in carcere e sulla pena che non può diventare accanimento o tortura. «La tutela della salute, della vita e dell’età avanzata sono prioritarie rispetto alle misure cautelari? – fu la riflessione del garante – Credo che sia questa la domanda da porci, non solo per una questione di umanità, che negli ultimi tempi pare sia diventata merce rara, ma anche per misurare l’efficienza e l’efficacia di un sistema penale e detentivo che rimuove ogni problema trincerandosi dietro vincoli burocratici in un gioco a rimpiattino sulle diverse competenze di magistratura, sanità penitenziaria e periti».
Del vecchio boss non era rimasta che l’ombra. Ora il caso di Carmine Montescuro è all’attenzione del garante di Napoli Pietro Ioia e del garante campano Samuele Ciambriello. In Campania si contano circa cento detenuti anziani, che gravano sui drammi già normalmente vissuti in carcere, sulle carenze di assistenza e di personale, sulle difficoltà di gestire reclusi con tante criticità. Ad aprile scorso un report del Consiglio d’Europa in Italia tracciò un bilancio allarmante: troppi detenuti e troppo anziani. Un dato sul quale incidono sicuramente anche i tempi lunghi dei processi, quelli delle esecuzioni. Spesso le sentenze vengono eseguite a moltissimi anni dai fatti e accade di finire in cella da anziani per fatti commessi in un passato lontano. Un cortocircuito, uno dei tanti che si innescano quando si parla di giustizia e carcere.
Quando scoppiò la pandemia si stimarono circa mille detenuti anziani, furono valutate misure alternative per far fronte all’emergenza sanitaria. Ma gli effetti delle misure emergenziali sono sfumati nel corso di questi mesi. Nelle carceri il numero dei nuovi ingressi è tornato ad aumentare, il ricorso alle manette è più frequente, e nelle carceri il problema del sovraffollamento è tornato a essere un’emergenza. Nel caso di detenuti anziani diventa un’emergenza nell’emergenza. E si perde ogni barlume di umanità, perché la pena smette di avere una funzione rieducativa e diventa solo una misura punitiva, afflittiva.
© Riproduzione riservata