Dopo aver visitato Alfredo Cospito il medico di fiducia Andrea Crosignani comunica al difensore Flavio Rossi Albertini: «Non ho potuto parlare con i colleghi dell’ospedale San Paolo perché mi hanno spiegato che non avevano l’autorizzazione a parlare con me e quindi ho potuto solo consultare la cartella clinica e non so dirti quali saranno le decisioni in merito a una eventuale ipotesi di nutrizione forzata».

Le parole del dottor Crosignani ci dicono che ormai siamo oltre l’articolo 41bis perché in nome di chissà quale emergenza viene impedito al medico di un detenuto in sciopero della fame dal 20 ottobre di parlare con altri medici. Se mai ce ne fosse bisogno, siamo alla prova provata della tortura che Cospito, uno dei 759 detenuti sottoposti al 41 bis, sta subendo. E l’anarchico vede peggiorare le sue condizioni. «Sono sempre più gravi – dice il medico – è sotto peso avendo perso un altro chilo, ora sta a 69. Gli ho spiegato che è ad altissimo rischio».

I valori del sodio son in risalita, quelli del potassio stanno sotto il livello. Presenta una acidosi che ci sta con il lungo digiuno, la situazione cardiaca non è ancora preoccupante, ma le condizioni generali restano a rischio per una qualsiasi complicazione. Intanto c’è una buona notizia dalla Corte Costituzionale che ha fissato al 18 aprile l’udienza per discutere l’eccezione presentata dalla difesa al processo di Torino per i pacchi bomba di Fossano e accolta dalla corte d’Assise di appello sulla possibilità di concedere le attenuanti a causa della lieve entità dei danni provocati. Il pg di Torno aveva chiesto l’ergastolo mentre nel caso la Consulta desse ragione alla difesa Cospito rischierebbe la condanna tra i 21 e i 24 anni di reclusione.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, accogliendo la proposta della corrente di Magistratura Indipendente ha aperto una pratica a tutela dei giudici della Cassazione che il 24 febbraio scorso avevano confermato il 41 bis rigettando la richiesta di revoca. Sotto accusa ci sono i commenti dei difensori dell’anarchico che avevano definito la sentenza “una condanna a morte”. Secondo la corrente di Mi saremmo davanti a una denigrazione generica e generalizzata dell’intera giurisdizione penale con la conseguenza di provocare una delegittimazione della funzione svolta dai magistrati del collegio della Suprema Corte e più in generale di tutti i giudici che si sono occupati della vicenda. Il Csm si dimostra sempre molto sollecito a tutelare i giudici che condannano, un po’ meno (eufemismo) quelli che assolvono.