Tu te sei magnato du’ polli, io nun me so magnato gnente: se semo magnati ‘n pollo per uno. Parafrasi da “La Statistica” di Trilussa

I fenomeni complessi non sono facili da rappresentare e definire. Altrimenti non si chiamerebbero così… Un fenomeno si dice complesso quando è dovuto all’azione congiunta di molti soggetti o è il risultato di tante cause concomitanti. Il che non significa necessariamente che non possa essere descritto in modo soddisfacente utilizzando solo poche variabili, ma che queste variabili hanno un valore statistico. Vediamo che significa in pratica.

Quanti sono ogni anno in Italia i ricoveri al pronto soccorso di persone morse da un cane? Circa 70mila. È un valore quasi costante, di anno in anno. Cambiano i cani, cambiano le persone morse, cambiano i posti e le circostanze del morso, ma il numero complessivo rimane pressappoco lo stesso. E non si tratta nella maggior parte dei casi di morsi da parte di cani aggressivi, ma semplicemente di atti accidentali. Una volta vidi un cagnolino che era caduto oltre il parapetto di Castel S. Angelo e si era salvato perché poco più in basso correva un cornicione sporgente. Era spaventato e non c’era tempo di chiamare soccorso, si agitava e rischiava di precipitare nel fossato profondo. Allora intervenni io. Cercai di calmarlo, di rassicurarlo, mi sporsi, riuscii ad afferrarlo per la coda e lo tirai su, in salvo. Non per ingratitudine, ma probabilmente per il dolore e lo spavento, si girò e mi morse. Mi scalfì appena, ma la prudenza mi suggerì di recarmi subito al pronto soccorso per valutare se fosse il caso di iniziare una terapia antirabbica (true story). Eccomi arruolato, in modo rocambolesco, nella Legione dei Morsicati per l’anno 1994.

Il cagnolino non aveva alcuna idea che serviva un bel morso per completare i 70mila, ne io sapevo che, senza di me, sarebbero rimasti in 69.999. Semplicemente, un fenomeno complesso come quello che descrive gli incontri tra uomini e cani con qualche spiacevole conseguenza è soggetto a tante cause indipendenti che, in media, tendono a compensarsi per produrre sempre lo stesso numero finale di eventi. Attenzione però, non è come il lancio di una moneta. Se si lancia casualmente una moneta, ci sarà il 50% di probabilità che esca “testa” e il 50% che esca “croce”. Tertium non datur. Quindi la descrizione dell’esito del lancio è semplice e ci si aspetta che dopo tanti lanci, ad esempio mille, si verifichi la metà delle volte (circa) l’uscita della testa e l’altra metà quella della croce. Ma qui la situazione è diversa: Io me ne andavo per i fatti miei e non c’era affatto il 50% di probabilità (o comunque un altro valore di probabilità ben definito) che un cane mi mordesse! E così per tutti i miei compagni di sventura del 1994. Eppure, seguendo le vie occulte e insondabili della statistica, le probabilità di essere morsi si sono combinate in modo tale che, al pronto soccorso, siamo arrivati doloranti pressappoco in 70mila.

La diffusione dei contagi è un altro fenomeno complesso. Quindi è di natura simile al caso di Uomini e Cani. La propagazione del contagio è stato correttamente descritto in articoli e interviste di esperti, in termini del coefficiente di diffusione, Rt. Rt indica, in media, il numero di soggetti sani, ma suscettibili di ammalarsi (cioè non immuni) che ogni malato contagia. Rt tiene conto perciò della modalità con cui può avvenire il contagio, delle misure di contrasto e prevenzione – come distanza di sicurezza, mascherine e vari dispositivi di protezione individuale -, delle chiusure dei locali pubblici, del coprifuoco, dell’eventuale incidenza delle vaccinazioni, delle condizioni ambientali e climatiche che possano favorire o complicare la trasmissione del virus. Tuttavia, come spesso accade nei fenomeni complessi, il parametro Rt, pur essendo statisticamente corretto, nasconde l’incertezza sulle probabilità di contagio. Ecco il motivo della citazione in epigrafe.

Ammettiamo di avere Rt=1. Significa che, in media, ogni malato contagia una persona sana. Ma questo è vero sia se effettivamente ogni malato contagia un sano, sia – alla Trilussa – se un malato non contagia nessuno e un altro ne contagia due. O anche se nove non ne contagiano nessuno, e il decimo ne contagia dieci. Che ci siano soggetti malati meno contagiosi, lo si sapeva fin dall’inizio. Gli asintomatici (che però rispettino le precauzioni di legge) sono meno infettivi di coloro che manifestano sintomi conclamati della malattia. Ma quello che si è scoperto nelle ultime settimane è qualcosa di più drastico. Tra i malati ci sono dei particolari soggetti estremamente contagiosi, battezzati pertanto “Superdiffusori”. Sono quei malati che, mentre parlano e respirano, producono flussi più abbondanti delle goccioline fisiologiche all’interno delle quali, come in un cavallo di Troia, si annidano i virus. Qualcuno ancora domanda cosa siano queste goccioline, di cui ignoravano l’esistenza prima della comparsa del Coronavirus.

In realtà le abbiamo sempre conosciute e osservate, senza forse averne piena consapevolezza. Quando in una mattina invernale guardiamo le persone alla fermata dell’autobus, notiamo che dalla bocca di ognuno esce una nuvoletta di vapore. Quella nuvoletta è proprio l’insieme delle goccioline che si condensano per la bassa temperatura. D’altronde, se vogliamo pulire in maniera sommaria le lenti degli occhiali, non ci alitiamo sopra, appannando il vetro? Anche in questo caso le goccioline a contatto con la superficie fredda si condensano, creando uno strato liquido sottile che scioglie lo sporco. Quindi nessuna meraviglia. Ma perché emettiamo queste goccioline? Certo, sappiamo che le vie aree sono ricoperte di liquidi fisiologici, ma ciò non basta a giustificare la presenza di goccioline: facendo passare dell’aria, ad esempio con una pompa di bicicletta, sopra una pentola piena d’acqua, le goccioline non si formano! Se non ci credete, provate. Mettete uno specchio in corrispondenza del flusso d’aria così prodotto e non si appannerà.

Il motivo dell’emissione di goccioline risiede nella fisiologia del sistema respiratorio. Molte parti del sistema, ad esempio i bronchi e le loro appendici (i bronchioli), hanno una struttura alveolare, attraversata da canali simili che li rendono simili alle spugne. Questi canali sono mantenuti umidi dai liquidi fisiologici che possiedono una certa viscosità e una tensione superficiale, come l’acqua saponata. Quindi, al passaggio dell’aria, i canali si comportano come un tubicino immerso in acqua saponata: fanno le bolle. Ricordate la sensazione che si prova quando vi esplode una bolla di sapone sulla mano? Si avverte come uno spruzzo, una sottile pioggerellina. E’ il liquido che costituiva la bolla che, a seguito dell’esplosione, si suddivide in minutissime goccioline. Bingo! Ecco il meccanismo. Allora chi sono i superdiffusori? Sono quei malati di Covid con una composizione dei fluidi respiratori che favorisce la formazione di bolle.

E adesso che li abbiamo identificati, possiamo prevenire i contagi? In teoria si potrebbe, ma in pratica bisognerebbe esaminare ogni soggetto infetto, asintomatico o conclamato, e valutarne l’emissione di aerosol e la virulenza. Fattibile, ma molto difficile. In compenso, l’esistenza dei superdiffusori ci insegna che essere prudenti è fondamentale.
«Ho tolto la mascherina solo per un minuto», «mi sono avvicinato a quel gruppo, ma poi sono andato subito via», «è un caro amico, non potevo non salutarlo per bene». Tutte leggerezze che possono avere conseguenze: Per voi, se incontrate un superdiffusore; per gli altri, se il superdiffusore siete voi…