Le lacrime degli sfollati: “È come la fine del mondo”
Terremoto e bombardamenti, della Siria resta solo la cenere
Siria, un Paese martoriato, un popolo trasformato a forza in una moltitudine di profughi. Un popolo ucciso due volte. Una tragedia senza fine. Ai disastri della guerra si aggiunge ora quello del terremoto. Un terremoto devastante, quello che ha colpito Turchia e Siria nell’area frontaliera tra i due Paesi: oltre 12mila i morti fin qui accertati, ma sono numeri destinati a crescere: per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) potrebbero essere state colpite 23 milioni di persone, di cui 1,4 milioni di bambini.
Una lunga striscia di macerie, interrotta da colline e campi coltivati, si allunga in tutta la zona nord-occidentale della Siria, quella più prossima al confine con la Turchia. Qui, dove si è abbattuto violento uno dei più devastanti sismi della storia, sono stati cancellati, rasi al suolo, campi di profughi siriani, sfollati da anni da altre martoriate regioni in guerra da 12 anni. Nelle aree siriane più devastate dal sisma vivono più di quattro milioni di siriani che hanno da anni urgenti bisogni umanitari. Di questi, circa tre milioni sono sfollati provenienti da altre zone afflitte dalla guerra. In tutta la Siria si è abbattuto da giorni il maltempo. Nelle zone settentrionali nevica, altrove piove a dirotto. L’elettricità e i combustibili sono carenti o assenti da tempo a causa della guerra e della crisi economica senza precedenti. Sulle colline siriane al confine con la Turchia è calato il gelo della sera.
Si continua a scavare con le poche luci e le tante speranze rimaste. «In tutta la Siria, i bisogni sono sempre più alti, dopo quasi 12 anni di crisi prolungata e complessa, mentre i finanziamenti umanitari continuano a diminuire», avverte Adelheid Marschang, Senior Emergency Officer dell’Oms. «Non ho mai provato tanto terrore, nemmeno durante i bombardamenti di Assad», è una delle ricorrenti testimonianze di sopravvissuti al sisma nelle zone nord-occidentali siriane, fuori dal controllo di Damasco e da anni esposte a frequenti bombardamenti delle forze del governo incarnato nel contestato presidente. Ma la catastrofe unisce, nel dolore e nell’impotenza, i siriani che vivono al di qua e al di là delle trincee militari erette nel corso dell’ultimo decennio tra le zone controllate dal governo centrale di Damasco, sostenuto dalla Russia e dall’Iran, e le aree sotto controllo e influenza turca.
«È come se fosse la fine del mondo»: queste le poche parole rese da Mohamad Kazmooz, residente a Idlib, nella Siria nord-occidentale, che ha raccontato al Guardian di essere fuggito con la sua famiglia nel buio dell’alba, mentre il terremoto scuoteva la città. È solo una delle testimonianze dei sopravvissuti del terribile sisma della notte scorsa. Intanto in tutta la Turchia e la Siria, migliaia di operatori di ricerca e soccorso, vigili del fuoco, medici, soldati e civili stanno lavorando per trovare e salvare i sopravvissuti: «Abbiamo visto crollare un edificio con tutti i suoi abitanti, che in precedenza era stato oggetto di bombardamenti durante la guerra civile, da parte delle forze russe e del governo siriano», racconta un altro superstite. «Tutte le persone intorno a noi si sono riversate per le strade in preda alla paura e al panico, sono uscite solo con i vestiti che avevano addosso – racconta al Guardian un altro sopravvissuto – e hanno lasciato le loro case e i loro averi».
Nonostante l’inverno pungente e rigido della Siria, Kazmooz riferisce che secondo le sue stime l’80% della popolazione di Idlib ha troppa paura di tornare nelle proprie case, temendo che crollino per i danni già subiti o che vengano abbattute da ulteriori scosse di assestamento. «Io e la mia famiglia stiamo in una fattoria dormendo sotto gli ulivi, per paura che gli edifici crollino. Tutti sono per strada, nessuno intorno a me è riuscito a tornare a casa per dormire». Secondo altri sopravvissuti, la maggior parte degli ospedali e dei centri medici non riescono ad accettare altri pazienti, a causa del numero spropositato di morti e feriti.
Nella città di confine di Jindires, Ali Batel ha implorato aiuto dalle rovine del suo ex villaggio. «La mia famiglia, i miei figli, sono ancora sotto le macerie. Non c’è nessuno che li salvi, non ci sono operatori di supporto, non c’è sostegno o comunicazione, non c’è nulla», ha raccontato al quotidiano di Londra. «Sentiamo rumori, voci qua e là, ma il più delle volte niente. Non c’è nessuno che li salvi, non c’è sostegno. Dove sono i Paesi del mondo? Perché non sono venuti ad aiutarci? Ci è capitato un disastro». Osama Abdel Hamid, un altro sopravvissuto in Siria, ha raccontato che la sua famiglia stava dormendo quando è iniziata la scossa. «Le pareti sono crollate su di noi, ma mio figlio è riuscito a uscire», ha raccontato. «Ha iniziato a urlare e la gente si è radunata intorno, sapendo che c’erano dei sopravvissuti, e ci hanno tirato fuori da sotto le macerie». I residenti hanno sollevato le macerie delle loro ex case e hanno portato alla luce la famiglia.
“Ci sono macerie ovunque. Le prime notizie che abbiamo qui parlano di almeno 36 palazzi completamente distrutti con gente rimasta sotto le macerie. La parrocchia latina dove sono ha avuto anch’essa dei danni ma al momento non registriamo altre criticità”. È la testimonianza resa all’Agenzia Sir da padre Bahjat Elia Karakach, frate della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Aleppo, con i primi momenti subito dopo il terremoto delle 4.17. «La scossa è stata tremenda – dice il parroco con la voce provata – la gente è scesa in strada in preda al panico, almeno chi è riuscito a farlo, tanti, come dicevo, sono rimasti intrappolati. Qui piove e fa freddo ho visto persone scalze e con indumenti leggeri, in pigiama, fuggire in cerca di un luogo sicuro. In parrocchia abbiamo aperto dei locali non danneggiati e offerto delle bevande calde e qualcosa da mangiare. Abbiamo anche pregato per chiedere la protezione di Dio. Adesso con le prime luci dell’alba la gente sfollata sta facendo rientro nelle abitazioni per fare la conta dei danni, non c’è energia elettrica, una situazione drammatica. Aspettiamo che i soccorsi arrivino ovunque, adesso è prioritario cercare di salvare quante più vite umane possibile tirandoli via dalle macerie».
Morti e distruzione anche nella zona di Idlib, non controllata dal regime di Assad. A raccontare al Sir la situazione è padre Hanna Jallouf, parroco di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte, insieme a quelli di Yacoubieh e Gidaideh. Mark Kaye, un dirigente dell’organizzazione non governativa International Rescue Committee, ha descritto la situazione in Siria come «una crisi dentro una crisi dentro una crisi». Aleppo, città martire della guerra, ora, come se non bastasse, con il terremoto sembra sia sprofondata nellʼultimo girone dellʼinferno. Qui, nella seconda città più grande del paese dopo la capitale Damasco, si stima siano morte più di 1.600 persone, molte delle quali vivevano già in edifici rimasti fatiscenti dopo la fine della guerra. Anas Habbas, 37enne di Aleppo, racconta che subito dopo la prima scossa è “corso giù dalle scale come un pazzo” con in braccio il figlio, al fianco della moglie incinta. «Abbiamo visto decine di famiglie in preda a terrore e shock. Alcuni cadevano in ginocchio piangendo o pregando, come se fosse il Giorno del Giudizio».
Annota con struggente amarezza lo scrittore Shady Hamadi «Sopravvissuta alle macerie della propria casa, distrutta dai bombardamenti, ed è oggi vittima delle ceneri, i frantumi, di un’altra casa: questa volta distrutta da un evento naturale. Assomiglia alla collera di un Dio che non la smette di prendersela con il paese che è al cuore di quella che è stata la culla delle civiltà. Ma dal sei febbraio 2023 non c’è più nulla di umano. Anzi, non c’è nulla di umano da tempo in Siria. I muri di casa che scricchiolano, le scale e i balconi che crollano assomigliano a una immagine vista decine di migliaia di volte. Questa volta manca solo il boato che precede il tonfo di un barile bomba sganciato su di una città. Quel suono sordo non c’è e quindi è mancato perfino l’avvertimento sonoro che un missile ti dà prima di portarti via la vita. È assurdo rivedere, ancora e ancora, corpi incastrati tra le travi metalliche con cui è stata costruita una casa. Perché la casa, beyt in arabo, ha una definizione più ampia che va oltre il mero significato del luogo fisico, materiale, ma racchiude in sé il significato di famiglia. Oggi, come negli ultimi 12 anni in cui la guerra si è mangiata un paese, in cui ci sono stati finti eroi, bugie, eroi veri e vittime sufficienti a riempire cimiteri infinite… la morte scende uguale. Non guarda in faccia a nessuno e si ripete la monotonia di un dramma che continua ininterrottamente da migliaia di giorni. Poveri siriani, abbandonati da tutti noi, da sempre e per sempre». Così è. Un regime sanguinario – con un presidente che massacra i civili e ora blocca gli aiuti internazionali perché non può gestirli in proprio – la guerra, ora il terremoto. Non c’è pace per il popolo siriano.
© Riproduzione riservata