Mentre il governo Draghi potrebbe modificare e ridurre la validità dei tamponi per ‘spingere’ i cittadini alla vaccinazione, con un calo a 48 ore per quello molecolare e a 24 ore per l’antigenico, uno studio italiano mette sotto accusa l’affidabilità dei test rapidi.

Test tra i più usati per avere un risultato rapido, ideali ad esempio per effettuare screening di massa su una popolazione ridotta, ma che da tempo erano finiti nel mirino degli esperti per la loro scarsa affidabilità.

A bocciare il loro impiego è Andrea Crisanti, professore ordinario di microbiologia all’Università di Padova, che ricorda come i testi rapidi antigenici utilizzati nel ‘suo’ Veneto “si lasciano sfuggire tre positivi ogni dieci, con una percentuale di falsi negativi che si attesta al 30%”.

Lo studio citato da Crisanti è quello condotto dalla Task force Coronavirus attiva al Centro di biotecnologie avanzate Ceinge di Napoli, ed è stato portato avanti circa un anno fa.  All’epoca, quando furono pubblicati i risultati, venne fuori la scarsa affidabilità del test rapido, peggiorandone il quadro: “Dà al test rapido una sensibilità pari al 50%, ossia riesce a identificare un caso positivo su due, e i test salivari, sia quello molecolare classico sia quello antigenico rapido, mostrano una sensibilità compresa fra il 20% e il 30%”.

Lo studio di cui parla Crisanti è appunto quello del Ceinge di Napoli, riportato oggi da Repubblica. Una ricerca che ha interessato pazienti Covid positivi in diverse fasi della malattia ricoverati presso i reparti dedicati dell’Aou Federico II.

Nella relazione firmata dai responsabili del laboratorio della Task force coronavirus, Ettore Capoluongo, Giuseppe Castaldo e Massimo Zollo, veniva evidenziato come i test rapidi antigeniciper ora non offrono sufficienti garanzie in termini di percentuale di casi positivi identificati”.

Il loro impiego, spiegava allora il Ceinge di Napoli, “sarebbe assolutamente da evitare, soprattutto se il prelievo oro-naso-faringeo venisse effettuato da personale medico non adeguatamente addestrato, se i test venissero eseguiti al di fuori del contesto di un laboratorio, da parte di professionalità non esperte nella interpretazione del dato e dei possibili errori metodologici, e senza un adeguato programma di controllo di qualità che il laboratorio comunemente esegue”. In un anno però molte cose potrebbero essere cambiate ma il dibattito sui tamponi continua nella comunità scientifica.

A bocciarne l’impiego era stato nei giorni scorsi anche Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza, che individuava nei test rapidi “il punto debole” della strategia anti-Covid del governo italiano. Il tampone antigenico rapido “nel migliore dei casi non certifica la positività almeno del 30% dei soggetti” e quindi “è il tallone d’Achille del Green pass”. Per questo secondo Ricciardi, intervenuto a ‘The Breakfast Club’ di Radio Capital, la soluzione per convincere le persone a vaccinarsi potrebbe essere irrigidire le misure per il rilascio del Green pass”.

Redazione

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