In un’intervista di qualche tempo fa al talk show Di martedì (La7), Giuseppe Conte ha detto che «la mia politica è curare le parole, la profondità del pensiero e non affidarsi agli ismi». Inoltre, ha annunciato la prossima pubblicazione dei suoi discorsi pubblici, per dimostrare che nei due governi che ha guidato è rimasto sempre lo stesso, non ha mai cambiato registro. Le parole dell’ex avvocato del popolo, già punto di riferimento fortissimo delle forze progressiste, dimostrano che egli è un impeccabile rappresentante del nostro “carattere nazionale”.

Coniata dai moralisti francesi del Seicento, la locuzione fa ingresso nella nostra letteratura con il Discorso sopra lo stato presente del costume degli Italiani di Giacomo Leopardi (1824). Ma prima che il grande poeta prendesse la penna per dirci in prosa, brutalmente, come siamo fatti, la descrizione del carattere dell’italiano aveva occupato l’ingegno di molti artisti europei e tenuto desto lo spirito di osservazione di una fitta schiera di viaggiatori che, in particolare nel secolo dei Lumi, giungevano nella nostra penisola col proposito di completare la propria formazione classica grazie alla formidabile esperienza del Grand Tour. Tuttavia, partiti con programmi culturali ambiziosi, spesso tornavano in patria con taccuini pieni di massime antropologiche non proprio benevole con il Bel Paese, come quella di Pierre-Jean Grosley: “L’Italie est le pays où le mot ‘furbo’ est éloge” (1764).

Giulio Bollati, nel saggio L’Italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione (Einaudi, 2011), scrive che nelle intenzioni degli esponenti della sinistra storica, a partire dal suo inventore Agostino Depretis, «Il trasformismo era nato come equazione chimica: il passaggio da uno stato all’altro, dall’arcaicità al moderno, dal vecchio al nuovo. Ma si era rapidamente trasformato nell’opposto: immobilismo, consociazione di diversi solo apparenti, in realtà tenuti uniti dalla chiusura verso la società. Da qui indifferenza agli schieramenti, interessi particolari di singoli capibastone scambiati con l’interesse generale, governi fragili e in mano a drappelli di deputati pronti a vendersi al miglior offerente, affarismo.

Per questa via il trasformismo assume definitivamente il significato peggiorativo che ha: distanza tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi, abilità nel far propri temi e parole dell’avversario per svuotarli di significato, disponibilità a lasciarsi catturare, contrasti in pubblico e accordi in corridoio. Il trasformismo è apparenza, spettacolo, indifferenza al merito delle questioni. Il suo scopo è il potere in quanto tale». Era ieri, ma sembra oggi.