Giustizialisti senza vergogna
Tutte le balle contro Giovanni Conso, fango sull’ex ministro persino da morto

Caro Direttore,
i giustizialisti non sono più quelli di una volta. Un tempo, i negazionisti dello stato di diritto e delle garanzie, erano attrezzati e agguerriti, meticolosi e fin acribiosi nel documentare fatti e dati. Oggi, tra loro, dominano trasandatezza e sciatteria: e le non poche sconfitte li hanno resi pressapochisti e pasticcioni. Non per questo meno feroci. Di conseguenza è impossibile tacere, tenuto conto che tra le loro vittime c’è chi – come quel grande galantuomo di Giovanni Conso – non può più difendersi da solo.
Nelle scorse ore i sostenitori – a – ogni – costo – della trattativa tra mafia e Stato hanno reiterato, per l’ennesima volta, una menzogna che, nelle intenzioni, dovrebbe accreditare la tesi dei vantaggi e dei benefici ottenuti dalle organizzazioni criminali grazie a quel sordido negoziato tra esse, uomini degli apparati dello Stato ed esponenti politici di alto livello. Una delle prove, in apparenza la più potente e la più suggestiva consisterebbe nella mancata proroga della misura del 41 bis per 520 detenuti appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Sarebbe stata questa la principale posta in gioco della cosiddetta trattativa. Preliminarmente va ricordato che uno dei magistrati inquirenti più acuti, Giuseppe Nicolosi, della Procura di Firenze, davanti alla commissione parlamentare Antimafia, ebbe a dire che la revoca del 41 bis sarebbe stata “indifferente rispetto ai desiderata di Cosa Nostra”. E che “non c’era praticamente nessuno a cui potesse interessare”. Ma c’è dell’altro, molto altro.
Secondo i critici, la sospensione del 41 bis per numerosi reclusi altamente pericolosi, sarebbe stata disposta dall’allora ministro della Giustizia Conso, sia perché direttamente coinvolto nell’operazione, sia perché sottoposto a pressioni da diversi soggetti (e tra essi, l’allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro). E, a beneficiare della mancata conferma del 41 bis, sarebbe stato un lungo elenco di centinaia di detenuti di altissima pericolosità. Ma quell’elenco, provvidenzialmente, venne sottoposto a una attenta disamina da parte dei consulenti della commissione Antimafia e, in precedenza, da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), che nel gennaio del 2011 inviò una relazione alla Procura di Palermo.
Secondo i primi, tra i beneficiari della revoca, appena uno su dodici avrebbe avuto rinnovata in una fase successiva e in ragione della sua documentata pericolosità, la misura del 41 bis. Dunque, la declassificazione voluta da Conso era né più né meno che una scelta obbligata, secondo legge. In altre parole sia i consulenti della Commissione Antimafia sia il Dap, concordavano nel ritenere che il 41 bis, allora adottato per la prima volta come provvedimento individuale, fosse stato applicato con eccessiva larghezza e in maniera assai estensiva. E tra coloro ai quali la misura fu sospesa per decisione del ministro, solo 23 – per alcuni appena 18 – erano siciliani. Il che, certamente, non annulla, ma senza dubbio attenua, la rilevanza dell’interesse della mafia per la loro declassificazione e per il loro ritorno a un regime carcerario ordinario.
E va ricordato che, per 8 di essi, fu lo stesso Conso successivamente a ripristinare “il regime speciale”. Ecco, su falsità di tal fatta, sono stati costruiti, in questo decennio, un grande racconto di genere e una mitografia fascinosa, interamente basati su una trama lessicale affidata al paradigma delle coincidenze maliose, delle prove artefatte, degli indizi suggestivi e fallaci.
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