È difficile dire cosa sia stato più importante ieri. Se la prima giornata del Consiglio europeo, a cui ha partecipato anche il presidente ucraino Zelensky, oppure l’incontro con la stampa di Putin a Mosca. Un appuntamento Castro-style viste le lungaggini. Zelensky era a Bruxelles già da mercoledì sera, quando ha incontrato nel pre-vertice i leader dei 27 membri Ue e, subito dopo, il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. Un “giro delle chiese” durante il quale il leader ucraino si è presentato con Le Parisien sottobraccio, il quotidiano francese a cui ha concesso la sua più recente intervista.

Un gesto, forse, di apprezzamento a Parigi, data l’assenza di Macron a Bruxelles, in quanto è volato a Mayotte, nell’Oceano Indiano, per verificare i danni causati dal passaggio del ciclone Chido. Zelensky ha voluto fargli sapere a mezzo stampa qual è la situazione sul campo: “Impossibile riprendersi Donbass e Crimea”. Ha detto appunto il presidente ucraino. Messa così non suona bene. Né per l’Ucraina né per l’Europa. In realtà, il quadro è più complesso. Gli avamposti di Kiev nel Kursk e l’attentato a Mosca riassestano i piatti della bilancia. Lo stesso Putin ha ammesso che l’uccisione di Kirillov è stato un brutto colpo per la sua intelligence.

È quindi possibile che si stia entrando in una fase nuova del conflitto. C’è chi parla di cessate il fuoco e comincia a assegnare, in maniera incauta, le etichette di sconfitti e vincitori. Al contrario, proprio perché il capitolo è nuovo, non se ne ha chiaro lo sviluppo. Bisogna aspettare l’ingresso di Trump alla Casa Bianca, per capire se davvero tra Washington e Mosca verrà aperto un dialogo. L’inaffidabilità di entrambi i leader non promette nulla di buono. Nell’attesa, è tuttavia necessario che l’Europa si faccia sentire. Perché, se al momento l’ingresso dell’Ucraina nella Nato è poco praticabile, quella nell’Unione europea è ben più realistica.

«Per Trump sarà quasi impossibile escluderci da qualsiasi decisione», ha detto il premier estone, Kristen Michal. Troppe sono le risorse che da quasi tre anni sono state destinate alla resistenza ucraina. Proprio a Consiglio Ue in corso, Ursula von der Leyen ha chiesto di indirizzarvi altri trenta miliardi, che vanno ad aggiungersi ai 130 miliardi già investiti. Banalmente troppe le volte che Zelensky ha visitato quasi tutte le cancellerie d’Europa, come pure ha accolto quasi tutti i rappresentanti dell’Ue e dei suoi singoli membri. Troppi i legami che si sono creati tra Bruxelles e Kiev perché gli Usa possano dire all’Ue: «Ok, adesso ci pensiamo noi».

Non è soltanto una questione di pace giusta e duratura e di stare a fianco dell’Ucraina, come ha detto Antonio Costa. Alle parole di circostanza, devono seguire le opportunità che l’Ue deve cogliere. Il processo di ricostruzione delle città bombardate e di bonifica dei campi dove si sta combattendo – oggi disseminati di mine e del litio dei droni abbattuti – è il primo impegno che l’Europa deve assumersi, per evitare di avere un Afghanistan in versione light alle porte, dove in ogni caso Putin cercherà di insediare i suoi amici. Non sarà facile. L’ingresso dell’Ucraina in Ue è ostacolato dal sostegno non unanime dei suoi membri, quanto anche dalle debolezze dell’economia europea, sempre esposta a farsi attrarre dalle risorse naturali a basso costo con cui il Cremlino può circuirci.

Alcune società energetiche dell’est Europa, gestori dei sistemi di trasmissione (Tso) e rappresentanti delle imprese energy intensive di Austria, Ungheria, Italia e Slovacchia, hanno chiesto alla Commissione di individuare soluzioni che favoriscano l’approvazione del rinnovo del transito del gas attraverso l’Ucraina a partire da gennaio 2025. Il cordone ombelicale con l’“orso cattivo” non è stato troncato. In questa fronda del gas, c’è chi non nasconde di continuare ad avere i contatti con Gazprom. È il caso del governo slovacco.

D’altra parte, chiuso il rubinetto, a est come si fa? Fa freddo, le industrie sono in recessione e il mix energetico della transizione green è ancora oggetto di dibattito. Il rischio è che alle buone intenzioni di una politica di Bruxelles, notoriamente brava a dichiarare ma poi vincolata alle sfumature e ai personalismi degli Stati membri, prevalgano le necessità contingenti. Ovvero l’urgenza di far ripartire l’industria. Problema non da poco. Ma che nemmeno può essere messo come secondo elemento di un aut-aut, in opposizione al processo di integrazione dell’Ucraina in Ue.