Eresia, scisma, chi più ne ha più ne metta per definire il terremoto provocato dalle frasi di Papa Francesco sull’auspicato riconoscimento dei diritti civili per le unioni omosessuali. Partiamo dalle parole precise del Papa. Esattamente ha detto così: «Quello che dobbiamo fare è una legge sulle unioni civili. In questo modo essi sono coperti legalmente». «Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia», e aggiunge: «Nessuno dovrebbe essere buttato fuori o reso infelice per questo».

Da qui in avanti è il caos da parte dei soliti noti. L’arcivescovo Viganò scomoda “l’ombra dello scisma”. Il vescovo Schneider, ausiliare di Astana, in Kazakistan, non è da meno ed è in compagnia con il cardinale Muller e del cardinale americano Leo Raymond Burke. Tutti iper-conservatori, distintisi dal 2014 per avere iniziato un’accesa campagna anti-Bergoglio. Non mandano giù l’approccio di Papa Francesco sui temi della famiglia e della morale familiare. E infatti il cardinale Muller ha detto che «ci vuole una enciclica profetica contro aborto, eutanasia, traffico di organi». Ci sarebbe da chiedere: che c’entra con il tema di oggi? Non si sa, non possiamo saperlo ma solo sperare che nell’intervista il pensiero del cardinale non sia stato tagliato. In attesa, ci atteniamo a quanto pubblicato e dunque la domanda è: che c’entra?

La questione apre una partita molto più ampia. Chi non digerisce le aperture del Papa si trincera dietro un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003. In effetti il testo sembra chiaro quando dice: «Ci si può chiedere come può essere contraria al bene comune una legge che non impone alcun comportamento particolare, ma si limita a rendere legale una realtà di fatto che apparentemente non sembra comportare ingiustizia verso nessuno. A questo proposito occorre riflettere innanzitutto sulla differenza esistente tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell’ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune.

Le leggi civili sono principi strutturanti della vita dell’uomo in seno alla società, per il bene o per il male. Esse svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume ». Le forme di vita e i modelli in esse espresse non solo configurano esternamente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove generazioni la comprensione e la valutazione dei comportamenti. La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale». Il documento aggiunge subito dopo che «lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un’istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio». E sempre in seguito abbiamo affermazioni del tipo: «Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale».

Basta così con le citazioni: la questione è chiara. La domanda è: che c’entra tutto questo con il Papa? Abbastanza poco se consideriamo come dal 2014 il Papa si è più volte espresso sulle questioni relative all’omosessualità ed alle persone e alla loro condizione, ricordando quanto afferma su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica. Così come più volte il Papa ha preso le distanze da qualsiasi rischio di confusione tra matrimonio e unioni civili. «Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione», ha spiegato ad esempio il 22 gennaio del 2016 alla Rota Romana, facendo riferimento al «percorso sinodale sul tema della famiglia», in cui questa affermazione è stata ribadita. Ricevendo poi in udienza il Forum delle famiglie, il 16 giugno 2018, Papa Francesco ha abbandonato il testo scritto per parlare a braccio con i partecipanti. Il matrimonio «non è una lotteria», ha esordito, mettendo in guardia dalla “superficialità” sul «dono più grande che Dio ha dato all’umanità». «Oggi – fa dolore dirlo – si parla di famiglie diversificate, di diversi tipi di famiglie»; «sì, è vero che la parola famiglia è una parola analoga – spiegò citando espressioni come “famiglia delle stelle, degli alberi, degli animali” – ma la famiglia immagine di Dio, uomo e donna, è una sola».

Dove è il problema? In realtà i problemi sono due. Il primo è relativo al “progresso” che la teologia cattolica può fare, magari alla luce dei risultati scientifici, superando pregiudizi o riuscendo a comprendere meglio le situazioni. Un esempio è relativo a san Tommaso d’Aquino, secondo il quale l’infusione dell’anima nell’embrione avviene per gradi e dunque in qualche modo un aborto nelle prime settimane di vita non sarebbe poi così grave. Un’idea che francamente suscita qualche orrore ma all’epoca l’embriologia non si poteva certo considerare una scienza sviluppata! Come dire che se ci fermiamo o se fermiamo l’evoluzione delle idee, della cultura, della scienza, non andiamo da nessuna parte. E qui naturalmente i detrattori del Papa e fustigatori di ogni progresso, avrebbero buon gioco nel dire che i valori fondamentali non si svendono e bisogna sempre essere contro il disordine morale, qualsiasi significato abbia una tale espressione. Tuttavia questa impostazione confonde perché Papa Francesco parlava in un altro modo ed aveva davanti altre situazioni. E qui è il secondo aspetto. L’approccio dogmatico è ben diverso dall’approccio pastorale. È la questione fondamentale. Se anche la Chiesa proclama per i suoi fedeli che l’omosessualità è un comportamento “disordinato”, cosa dovrebbero fare parroci, sacerdoti, vescovi, teologi, catechisti e via dicendo, nei confronti delle concrete persone omosessuali? Sbattere loro la porta in faccia? Cacciarli? Scomunicarli?

La pastorale, messa al centro da Papa Francesco, implica un atteggiamento di dialogo e di ascolto, di presa in carico delle sofferenze, di riconoscimento dei dolori e dei drammi, per avviare un percorso di conversione. Da notare le parole-chiave: percorso e conversione. Potrebbe volerci tutta la vita e una vita intera potrebbe non bastare. Nel frattempo che dobbiamo fare? Per i fustigatori della morale la soluzione è semplice e la demarcazione tra bene e male è netta e invalicabile. Per fortuna non sono ancora saliti al soglio di Pietro, e per fortuna la misericordia e l’approccio pastorale vanno al primo posto. Come sanno bene tutti quei sacerdoti – dai pastoralisti ai teologi morali – che conoscono le fragilità delle persone e hanno compreso l’inutilità delle condanne.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).