Non avrei pensato che si sarebbe arrivati in tempi così ravvicinati a discutere dell’obbligo generalizzato di vaccinazione contro il coronavirus nei confronti degli over 50 e forse anche degli over 40. Se ne parla ormai quotidianamente perché da un lato i numeri sulla diffusione della pandemia, specie in alcune regioni quali la Sicilia e la Sardegna, continuano a essere assai inquietanti, dall’altro sono più di quattro milioni gli ultra cinquantenni non vaccinati. Quattro milioni di persone, dunque, a forte rischio di essere contagiate dalla variante Delta e di essere a loro volta diffusori del contagio.

Ho avuto occasione di parlare con alcuni rappresentanti di questo esercito di refrattari al vaccino (chiarisco che non mi riferisco ai c.d. complottisti, che negano addirittura l’esistenza della pandemia e sostengono che siamo vittime di un complotto che mira a instaurare una dittatura sanitaria per privarci di fondamentali diritti costituzionali di libertà). Mi riferisco a persone normali, che ritengono che l’efficacia del vaccino non sia ancora sufficientemente sperimentata, che non si conoscono gli effetti negativi che potrebbero conseguire alla vaccinazione, che non credono alla veridicità dei dati relativi alle altissime percentuali dei contagiati ricoverati in terapia intensiva o negli appositi reparti ospedalieri che risultano non vaccinati. Mi sembrano giustificazioni futili, perché non vi può essere precedente sperimentazione di un vaccino nei confronti di un contagio che si presenta per la prima volta nella storia dell’umanità, e anche perché i casi di reazioni negative riconducibili al vaccino sono rarissimi e comunque di scarsa rilevanza. Giustificazioni che dovrebbero comunque cedere di fronte alla constatazione – ce lo ha ricordato proprio l’altro ieri il presidente della Repubblica con un accorato appello – che la vaccinazione di massa è l’unico rimedio per contrastare e vincere la pandemia.

Il rifiuto del vaccino assume aspetti particolarmente inquietanti nei confronti di due categorie professionali che svolgono rispettivamente attività a contatto con i giovani (gli insegnanti) e con persone che hanno problemi di salute (medici e operatori sanitari). Tra i primi, a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico, sono ben 186.571, pari al 12.82%, quelli non vaccinati; nei confronti dei medici già vige l’obbligo di vaccinazione, con conseguente sospensione dall’esercizio della professione in caso di inottemperanza all’obbligo, ma sono decine di migliaia i ricorsi ai Tar di varie regioni già presentati o in corso di presentazione contro i provvedimenti di sospensione. I ricorsi sinora giudicati sono stati respinti, ma sono comunque il segnale di una agguerrita resistenza contro un obbligo vaccinale indispensabile nei confronti di una categoria di professionisti chiamati ad operare a stretto contatto con i pazienti.

Il quadro che emerge dagli oltre 4 milioni di ultracinquantenni non vaccinati, dagli oltre 186.000 insegnanti e dalle decine di migliaia di medici e operatori sanitari non vaccinati che ricorrono contro i provvedimenti di sospensione dall’esercizio della professione è assai desolante. Quanto ai primi, emerge che un numero assai consistente di cittadini indifferenziati – accomunati solo dall’avere un’età superiore a cinquanta anni – rifiutano di sottoporsi a un atto di responsabilità e di solidarietà sociale indispensabile per contrastare il diffondersi del contagio, chiudendosi in un’egoistica e individualistica indifferenza rispetto alla collettività in cui vivono. Quei quattro milioni di persone presumibilmente non sono consapevoli di violare un inderogabile dovere costituzionale di solidarietà sociale in tema di tutela della salute, che la Costituzione definisce appunto come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Al riguardo la stessa Costituzione prevede che la legge possa disporre l’obbligo di un determinato trattamento sanitario – nel nostro caso la vaccinazione – a tutela non solo del singolo, ma anche nell’interesse della collettività. Interesse che certamente prevale su un supposto diritto di libertà dell’individuo di sottarsi alla vaccinazione.

Ancora più negativi sono gli atteggiamenti dei due ceti professionali degli insegnanti e dei medici. I primi dovrebbero costituire per i giovani loro affidati modelli non solo di cultura, ma dei valori di responsabilità e solidarietà sociale, a cui si sottraggono con il rifiuto della vaccinazione. Per fortuna, pare che proprio tra i loro giovani allievi tra i 12 e i 19 anni la percentuale dei vaccinati sia molto alta. Quanto ai medici, non solo il rifiuto di vaccinarsi viola un obbligo previsto da un’apposita legge, ma si pone in contrasto con la deontologia professionale, posto che i contatti necessariamente ravvicinati con il paziente potrebbero esporlo al rischio di essere contagiato dal medico non vaccinato.

La risposta a questi vari aspetti della scarsa sensibilità nell’adottare volontariamente l’unica valida misura per contrastare la diffusione del contagio non può essere che una legge che introduca l’obbligo generale di vaccinazione, accompagnato evidentemente da necessari e stringenti controlli sanitari volti a verificare le specifiche situazioni individuali di incompatibilità con il vaccino. Più rapidi saranno i tempi per raggiungere l’accordo su questa legge e più in fretta riusciremo a riappropriarci di libere e normali condizioni di vita.