«Un’opposizione assente, alleanze illogiche, partiti che perdono consistenza e una città da rilanciare». Questo il quadro politico tracciato da Gennaro Carillo, ordinario di Storia del pensiero politico presso l’università Suor Orsola Benincasa.

Professore, guardando da vicino il quadro politico locale, in particolar modo guardando Palazzo San Giacomo, quale analisi viene fuori?
«Credo che il quadro politico sia piuttosto semplice. C’è una forte maggioranza a sostegno del sindaco Gaetano Manfredi e un’opposizione in oggettiva difficoltà perché non c’è una leadership chiara. Non c’è al momento un’opposizione autorevole. Mi sembra un quadro sulla carta favorevole all’azione di governo di Manfredi».

Indubbiamente Manfredi ha in consiglio comunale una maggioranza schiacciante, eppure a quattro mesi dalle elezioni non sono stati ancora nominati gli assessori alle municipalità. Ricordiamo che in tutte le municipalità ha trionfato la maggioranza di Manfredi.
«Ci sono problemi che dipendono dalla scarsità e problemi che dipendono dall’abbondanza. Quindi, non necessariamente una maggioranza ampia e schiacciante è immune da problemi. E poi, quattro mesi per un osservatore esterno possono sembrare tanti, in realtà con una dialettica democratica molto forte possono non esserlo. Ma possiamo anche dire che sicuramente sullo sfondo di queste vicende c’è una crisi dei partiti. Da un lato la vittoria di Manfredi è stata molto netta e lo è stata soprattutto in ragione dell’autorevolezza del candidato, ma non bisogna dimenticare la crisi enorme dei partiti a Napoli».

E infatti il Pd si sta sfasciando…
«La crisi del Pd è una crisi non di oggi, ma ormai di lunghissimo periodo e il personale politico del partito democratico a Napoli, fatta salva qualche eccezione, è piuttosto scadente. Il Pd è un partito che sta cercando di riformarsi, di cambiare, di migliorarsi ma sul quale pesano delle zavorre molto gravose. L’impressione è quella di un partito fondamentalmente bloccato e avvitato su sé stesso».

Perché?
«Perché ci sono blocchi di potere che sono un freno al cambiamento. Persistono dei sistemi consolidati che sono molto difficili da abolire e quindi una persona che ambisce ad entrare nel partito con ambizioni di cambiamento si scontra inevitabilmente con delle strutture molto rigide».

Crisi dei partiti che ha travolto anche il Movimento Cinque Stelle, Napoli è stata la culla e ora anche la tomba dei pentastellati. Come legge le ultime vicende dei grillini?
«Questa era una crisi piuttosto prevedibile perché è evidente che i Cinque Stelle hanno vissuto malissimo le due esperienze governative. Il governo ha comportato necessariamente l’adozione di soluzioni di compromesso, un fare i conti con la realtà e quindi una scissione interna tra un’ala governista che si è ripulita, ha studiato, imparando delle strategie di sopravvivenza e di potere e un’ala più movimentista. Queste due “anime” non potevano convivere senza avere dei conflitti perché sono intimamente contraddittorie. Una cosa è essere l’apriscatole della scatoletta di tonno e un’altra cosa è essere il tonno. Non si può essere apriscatole e tonno nello stesso tempo. Anche in questo caso siamo di fronte a un’enorme crisi di rinnovamento dei quadri politici. Tenendo conto anche del fatto che il personale politico dei Cinque Stelle è molto vecchio, cioè abbiamo i pentastellati della prima ora che sono andati in una direzione, quelli venuti dopo in un’altra. E poi ci sono anche lì delle logiche di potere, molti travagli interni ai partiti vengono presentati come dispute ideali ma nascondono giochi di potere».

Illogica appare, invece, l’alleanza tra Luigi de Magistris, Antonio Bassolino e Alessandra Clemente per l’elezione del consiglio metropolitano.
«Mi sembra un’accozzaglia contro-natura che ancora una volta non fa bene a nessuno dei tre. De Magistris e Bassolino hanno concezioni della politica diametralmente opposte che non possono trovare sintesi».

In questo quadro politico non è mancata la voce del governatore De Luca, sempre contro il governo, questa volta ha parlato dei fondi del Pnrr dicendo che, per il momento, manca la percezione del fiume di soldi in arrivo. Puntando la lente di ingrandimento su Napoli, invece, quali sono i progetti di cui ha bisogno?
«Non so precisamente a che punto siano i progetti del Pnrr. Posso dire che Napoli ha bisogno di moltissimi interventi. Prima di tutto bisogna fare una grande opera di manutenzione urbana, la città ha bisogno di un ripristino del decoro. E questo è il prerequisito per intraprendere una minima attività di riqualificazione della città. L’obiettivo minimo è quindi garantire le condizioni minime di vivibilità. Poi, deve essere avviato un processo virtuoso di infrastrutturazione. È evidente che bisogna ripartire realizzando opere pubbliche importanti, bisogna mettere mano a delle opere di riqualificazione di grandissima importanza».

Da quali luoghi dovrebbe partire l’opera di rilancio della città?
«Dall’Albergo dei poveri, per esempio, sul quale c’è già un progetto di riqualificazione. C’è poi il Maschio Angioino che versa in condizioni inaccettabili. C’è il mercato ittico che progettò Luigi Cosenza, un progetto bellissimo e che oggi versa in condizioni pessime. Questi sono tre luoghi tanto simbolici quanto strategici per la città».

Tra i vari interventi che appaiono urgenti, c’è anche la lotta alla criminalità organizzata. Recentemente il procuratore generale Riello ha tirato in ballo anche la Chiesa, sostenendo che i preti debbano vietare i sacramenti ai “camorristi”. Come giudica il discorso del pg Riello?
«Senz’altro la chiesa cattolica ha delle responsabilità storiche, delle complicità gravi in molti casi di criminalità organizzata al Sud. Ma non bisogna commettere l’errore di pensare che la Chiesa debba costituire un argine in assenza di altri argini. Cioè, in uno stato laico, noi non possiamo demandare alla Chiesa, che deve svolgere un’attività pastorale, una funzione di contrasto alla criminalità, azione che non le compete. Il problema non è tanto non concedere i sacramenti ai camorristi, perché sono questioni teologiche e di diritto canonico, il problema è non far delinquere. Perché i sacramenti, dalla comunione alla estrema unzione, vengono concessi a tutti, anche a chi ha sulla coscienza cento omicidi. Chiaramente una cosa è l’inclusività della Chiesa, altra è la complicità che non è tollerata. Non possiamo pretendere che la Chiesa svolga anche questa funzione e poi magari lamentarci perché poi si ingerisce in tutta una serie di questioni che attengono invece allo stato laico. Bisogna scegliere. Se noi demandiamo alla Chiesa una funzione politico-civile, poi dobbiamo essere anche disposti ad accettare che la Chiesa intervenga o sia addirittura d’ostacolo rispetto ai diritti civili, all’aborto o all’eutanasia. Non dobbiamo sovraccaricare la Chiesa di funzioni che non le competono e credo che in assoluta buona fede Riello abbia sopravvalutato il ruolo della Chiesa».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.