La Svimez ha fotografato l’economia della Campania, disegnando anche una previsione di ciò che dovrebbe accadere nei prossimi cinque anni. Se da un lato la regione amministrata da Vincenzo De Luca partecipa attivamente alla ripresa economica del Paese, restando però sempre subordinata alla crescita del Nord, dall’altro restano ancora tanti i punti critici che alimentano lo storico divario tra Nord e Sud.

In particolare, ciò che emerge dalla foto scattata dagli esperti Svimez è una tendenza della Campania a fare impresa, soprattutto nel settore dell’export, mentre appare molto debole per ciò che riguarda gli investimenti sulle risorse umane, sulle politiche del lavoro e sull’attenzione ai più piccoli. Andiamo con ordine. La ripresa del biennio 2021-2022 è trainata dal binomio investimenti privati (in particolare costruzioni) e export, alimentando un recupero più rapido nel Centro-Nord, ma il Mezzogiorno partecipa alla ripartenza. La Campania mostra una elasticità alla ripresa superiore alla media delle regioni del Sud. Il rimbalzo 2021 è significativo al Sud se si considera la perdita minore del 2020. Nel 2022, si ipotizza che la tendenza espansiva prosegua, ma a ritmi ridotti. Il Sud resta comunque “agganciato” alla ripresa del Nord. La Svimez qui traccia una previsione ottimistica secondo la quale la Campania nel 2022 farebbe segnare una crescita superiore alla media nazionale.

Nel 2023 il PIL italiano dovrebbe crescere del 2,4%; in maniera più accentuata al Centro-Nord (2,6%) rispetto al Sud (1,9%). Ciò che preoccupa e segna una linea rossa molto netta rispetto al resto del Paese sono le politiche del lavoro che, com’è naturale che sia, incidono sui consumi dei cittadini del Sud. Un dato che influisce negativamente e che attenua i benefici del Pnrr. Nella nostra regione i lavoratori con un contratto part-time involontario, cioè non richiesto per esigenze di salute o familiari, sono l’80% dell’intera popolazione lavoratrice, complessivamente nel Mezzogiorno la percentuale è di 79,8% di lavoratori part-time. Un numero che ben si discosta dalla situazione che troviamo nelle regioni del Centro Nord dove i lavoratori con un contratto part-time involontario non superano la soglia del 59,3%. La differenza è netta e mette in evidenza come dal centro Italia in giù le politiche del lavoro non siano sufficienti a garantire a tutti i cittadini le stesse opportunità.

Anche la trasformazione da lavoratori instabili a stabili ha seguito un iter decisamente diverso nelle regioni italiane: in Campania sono riusciti a ottenere un lavoro stabile solo il 12,9% degli occupati, nel Mezzogiorno la percentuale arriva al 13,3% mentre al Centro Nord raddoppia e si attesta intorno al 25,8%. Contratti precari e lavori instabili si riflettono inevitabilmente su redditi bassi. Sicuramente più bassi di quelli percepiti dai colleghi del Nord. In Campania i dipendenti con una paga bassa rappresentano il 15% dei lavoratori, mentre al Nord solo l’8,4% riceve uno stipendio non ritenuto non adeguato. Secondo la Svimez, dalla crisi del 2008, il progressivo peggioramento della qualità del lavoro, con la diffusione di lavori precari ha portato a una forte crescita dei lavoratori a basso reddito, a rischio povertà. Sul versante retributivo, ha inciso il cambiamento nella struttura occupazionale avvenuto negli ultimi trent’anni anni con la crescita di settori low-skilled, come quello dei servizi turistici e alle famiglie, nei quali la retribuzione non è sufficiente per uscire dalla spirale della povertà.

Va da sé che tutto questo ha contribuito a incrementare quella che gli esperti definiscono “migrazione intellettuale dal Mezzogiorno al Centro Nord”, i giovani si spostano dove ci sono più opportunità, così ogni hanno i nostri territori si svuotano, perdendo talenti e intelligenze. Negli ultimi tre anni è aumentato lo stock annuale degli studenti triennali del Mezzogiorno immatricolati al Centro-Nord che ha raggiunto le 22.644 unità. Allo stesso tempo è però diminuita la loro quota percentuale rispetto alle immatricolazioni complessive. Fenomeno creatosi in virtù dell’incremento generalizzato degli immatricolati al Mezzogiorno come al Centro Nord. Nell’anno del Covid la mobilità degli studenti dal Mezzogiorno al Centro-Nord si è incrementata. Ma la fuga dal Sud ha radici più anteriori alla formazione universitaria e alla ricerca del lavoro. Parte già dai servizi dedicati all’infanzia, già nei primi anni di formazione si percepisce una differenza tra i servizi presenti in Campania e quelli presenti nelle altre regioni d’Italia.

Analizzando i posti all’interno di servizi socio-educativi per 100 bambini da 0 a 2 anni, nella nostra Regione ce ne sono 5,8 nel settore privato, 4,6 in quello pubblico, per un totale di 10,4 posti. La situazione cambia decisamente se guardiamo il Centro Nord, dove ce ne sono 16,3 per il settore privato, 17,2 per quello pubblico, per un totale di ben 33,5 posti. L’investimento previsto dal PNRR ammonta a 4,6 miliardi e dovrebbe portare alla creazione di 228 mila posti aggiuntivi. È fondamentale che tale investimento consenta di raggiungere il target (33%) in tutte le Regioni. I fondi del Pnrr saranno l’unica e forse l’ultima possibilità di accorciare il divario che divide l’Italia, e forse saranno anche l’ultima occasione per smetterla di vivere di alibi e crogiolarci in questo divario che per troppo tempo è stata la risposta delle istituzioni alle differenze evidenti tra un territorio e l’altro.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.