La Francia è sotto shock per il “Jihad delle teste mozzate”. E dietro ad essa c’è una strategia che non può essere liquidata come l’azione di qualche pazzo “lupo solitario”. Tutto è iniziato intorno alle 9 del mattino dentro la basilica di Notre-Dame: la cattedrale di Nizza, che si trova sul viale Jean Medecin (dedicato allo storico sindaco nizzardo), un vialone dove ci sono negozi, uffici e centri commerciali, che collega la stazione ferroviaria con la piazza simbolo della città, Place Massena. Tre le vittime, tra cui una donna decapitata e uno sgozzato, e un numero ancora imprecisato di feriti.

L’autore dell’attacco è stato fermato. Ferito dalla polizia accorsa sul posto, è stato trasferito in ospedale ed è ricoverato in terapia intensiva L’accoltellatore è stato udito gridare “Allah Akbar” mentre veniva medicato sul posto dopo essere stato ferito dalle forze dell’ordine. Lo ha riferito il sindaco di Nizza, Christian Estrosi, per il quale «non c’è alcun dubbio sulla natura dell’attentato». «Si è trattato di un attentato terroristico islamista», ha denunciato il presidente Emmanuel Macron dopo essere giunto sul posto, garantendo il «sostegno ai cattolici da tutto il Paese». Macron ha annunciato il passaggio da 3.000 a 7.000 militari dell’operazione “Sentinellè”, preposta alla sorveglianza armata antiterrorismo ad opera dell’esercito. Dal 2015, dopo gli attentati, i militari sono stati chiamati di rinforzo per la sorveglianza nelle strade e ai luoghi sensibili.

Al momento si sa che l’attentatore, Aouissassoui Baharin, è nato in Tunisia il 29 marzo del 1999 ed è arrivato agli inizi in Italia. E dopo essere sbarcato a Lampedusa era stato trasferito nel centro di detenzione e fotosegnalato dalla questura. Quel che è certo è che l’attentatore di Nizza il 9 ottobre era a Bari. Da lì è iniziato il suo viaggio in Costa Azzurra. Il viaggio della morte. Con un messaggio inviato al vescovo di Nizza, il Papa ha condannato l’attacco, definendolo «un atto selvaggio». Con l’accoltellamento vicino all’ex sede di Charlie Hebdo a fine settembre, la decapitazione del professor Samuel Paty, è il terzo attacco in poco più di un mese sull’onda delle proteste per la ripubblicazione delle caricature del settimanale satirico francese. Ma l’allerta non si ferma a Nizza. Poche ore dopo l’assalto alla cattedrale, alle 11.15, ad Avignone un uomo armato di coltello ha tentato di attaccare degli agenti di polizia che hanno reagito aprendo il fuoco e uccidendolo.

Inoltre a Gedda un uomo è stato arrestato dopo che ha ferito una guardia del consolato francese, mentre a un afghano armato di coltello è stato fermato a Lione, nel centro della Francia. Una nuova segnalazione è arrivata poche ore dopo da Sartrouville, cittadina di 50.000 abitanti nell’Ile de France. Qui un uomo è stato arrestato e la zona attorno alla chiesa principale isolata. L’uomo, armato di coltello, avrebbe avuto intenzione di entrare in chiesa e fare «una cosa come a Nizza», secondo quanto riporta il sito Le Parisien. Il 25 ottobre il capo della polizia aveva diramato una circolare per alzare il livello d’allerta dopo vari appelli a colpire la Francia da gruppi terroristi, l’ultimo qualche giorno dall’agenzia Thabat, vicina ad al- Qaeda, che rinnovava gli inviti ai fedeli musulmani a colpire “i miscredenti” francesi e in particolare i luoghi di culto. E così è stato.

L’allarme è scattato. Ed è allarme rosso. Gli analisti dell’intelligence sono sempre più convinti che gli attacchi siano parte di una campagna organizzata per ridare forza ai gruppi jihadisti. Usando Charlie Hebdo come bersaglio per riunire tutti i musulmani contro l’Occidente. Un piano che grazie alle parole del presidente turco Recep Tayyp Erdogan sta diventando globale. «Demonizzando i musulmani non ci guadagnerete nulla – ha tuonato l’altro ieri il presidente turco – Il Parlamento europeo, che a ogni occasione si esprime sul nostro Paese, non può ignorare l’islamofobia». «In certi Stati europei – ha poi puntualizzato, con evidente riferimento a Macron e alle tensioni con Parigi circa le vignette su Maometto pubblicate da Charlie Hebdo – l’odio verso l’islam e i musulmani è diventata una pratica promossa persino dai presidenti». L’obiettivo imperiale del Sultano è chiaro: lanciare un’Opa per la leadership del mondo musulmano, e non solo quello sunnita. E per farlo, Erdogan usa tutte le armi a sua disposizione, facendosi paladino di un islam “umiliato” dall’Occidente. Sottovalutarne la pericolosità sarebbe un errore esiziale. E lo tanto più quando una strategia “imperiale” s’intreccia con una violenza che si “islamizza”.

Non hanno mai frequentato una moschea. Non seguono i dettami del Corano. Sono “i nuovi nichilisti del jihad”. Hanno la rabbia dentro e cercano solo un obiettivo contro cui sfogarla. E una ideologia che la “nobiliti”. Sono gli hooligans del Daesh. Il terrorismo fai da te. Non solo nel fabbricarsi armi artigianali, ma nel decidere dove, chi e quando colpire. Come diventano gli “hooligans della jihad” lo spiega molto bene a Il Riformista il più autorevole studioso francese dell’Islam radicale, Oliver Roy: «Prima si radicalizzano e solo in un secondo tempo scelgono l’Islam nella sua versione più estrema. Ma tutto questo non c’entra più con la disperazione delle banlieue. Gli autori dell’attacco contro Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015 e di quello a Parigi il 13 novembre avevano poco a che vedere con il mondo delle banlieue. Sono invece affascinati dalla violenza, vista in mille forme su internet. A Marsiglia le banlieue imperano, ma ci sono gruppi criminali che danno armi e sensazioni forti ai giovani. Di conseguenza, qui i jihadisti si contano sulle dita di una mano. A Nizza invece la comunità araba è più ricca e integrata, eppure i jihadisti arrivano più facilmente dai ranghi della sua classe media». Roy, in un altro suo scritto, spiega perché la “bandiera” con cui si coprono è quella dell’Isis. «È l’ideologia che in questo momento domina il mercato della violenza terrorista.

La sinistra, anche quella estrema, non li interessa: non è abbastanza radicale, non ha una dimensione globale e non coinvolge affatto questi giovani. Sono degli sradicati, non si riconoscono nei movimenti di protesta tradizionali europei, non condividono le battaglie per i diritti civili, per esempio per i matrimoni gay. Sono ribelli senza una causa, arrabbiati sicuramente, ma alla ricerca di un obiettivo per cui combattere. La collaborazione tra questi giovani e l’Is è semplicemente una questione di opportunità. Gli stessi giovani si erano legati ad al Qaeda e prima ancora al Gia algerino, o avevano seguito un nomadismo jihadista individuale tra Afghanistan, Bosnia e Cecenia. Domani combatteranno per un’altra bandiera, a meno che la morte in battaglia, la vecchiaia o la disillusione non svuotino i loro ranghi, un po’ come è accaduto all’estrema sinistra degli anni Settanta». È un fenomeno generazionale. Sono molto giovani.

«Tra loro c’è di tutto. Anche ragazzini di 14 e 15, fino a dei trentenni. Vent’anni è la media. Dunque, non sono prodotti né dalle moschee né dagli ambienti musulmani. Rispecchiano un fenomeno di atomizzazione, individualismo. Si radicalizzano fra giovani nel virtuale». Una riflessione che investe anche i foreign fighers: «Sono affascinati dalla morte – rimarca-ancora Roy- . La cercano, la predicano e coltivano intimamente, è parte della loro identità individuale e di piccolo gruppo che si considera eletto. Vogliono morire, per loro è un onore farlo combattendo, dà senso alle loro esistenze. In questo modo si differenziano dai gruppi terroristici classici, per i quali restare in vita è uno dei doveri fondamentali per poter garantire la continuità del proprio impegno nella lotta. In secondo luogo, non credono in un ideale utopico, non lavorano per una società migliore, non cercano di militare in partiti politici o associazioni.

I nichilisti della Jihad annota ancora lo studioso francese- appartengono a due categorie. Giovani musulmani di seconda e terza generazione che vivono in Occidente, e i convertiti. Il numero dei convertiti è significativo perché rappresenta un quarto dei foreign fighters e degli autori di stragi e attentati in Francia e nel resto d’Europa. Non troviamo questa proporzione di convertiti in nessun’altra organizzazione musulmana. Ciò dimostra che non si radicalizzano nel quadro di una società tradizionale musulmana, ma attraverso Internet e fra di loro».
E questo li rende ancora più pericolosi e imprevedibili.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.