«La scorta a don Maurizio Patriciello non credo rappresenti una sconfitta dello Stato, ma sicuramente c’è da fare molto: dispersione scolastica, lavoro, controllo del territorio. E riconosco che la repressione non può essere l’unica risposta». Parla il senatore Sandro Ruotolo.

Senatore, la camorra torna a colpire la chiesa, unico baluardo di legalità in territori dimenticati. Don Maurizio Patriciello finisce sotto scorta, è una sconfitta per lo Stato?
«No. Non è una sconfitta. È stata colpita la chiesa del Parco Verde perché è un simbolo, proprio lì è nato il comitato di liberazione dalla camorra dell’area Nord di Napoli. Lì ci sono tante associazioni, forze dell’ordine e intellettuali impegnate in questa battaglia. Hanno colpito perché in questo momento di effervescenza criminale, abbiamo acceso i riflettori e la parte buona della società si è fatta sentire, c’è stata una risposta forte da parte dello Stato a livello repressivo. Il ministro dell’interno Luciana Lamorgese ha annunciato che a Caivano ci sarà il passaggio da tenenza a compagnia dei Carabinieri, ciò significa più uomini sul territorio. Ci sono delle risposte, ovviamente non ci bastano, c’è tanto da fare e i clan avvertono la presenza dello Stato, la camorra ha bisogno del silenzio e noi accendiamo i riflettori e i loro affari subiscono effetti negativi»

Sì, ci saranno più forze dell’ordine e più controlli sul territorio, ma è possibile che la repressione sia l’unica risposta? A cosa serve la repressione se prima e dopo un arresto o un controllo non si fa nulla per quei territori?
«No. Intanto per il livello emergenziale, noi abbiamo chiesto videosorveglianza. Per esempio, dobbiamo contrastare le piazze di spaccio e abbiamo chiesto alle forze dell’ordine e al prefetto di fare un censimento, delle indagini perché alcuni appartamenti sono occupati illegalmente da un clan che fa affari con la droga. E noi chiediamo di cacciarli ed è un modo per contrastare lo spaccio».

Ma parliamo sempre di repressione…
«Ovviamente io ho ben presente il tema della dispersione scolastica che è fortissima e in generale della questione minorile. So che questo è il punto. Sappiamo che dobbiamo ridurre le disuguaglianze e a Napoli e provincia dobbiamo affrontare un dato grave: 5.000 minori che hanno a che fare con la giustizia. C’è una percentuale altissima di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Ci sono alcuni quartieri dove questi giovani rappresentano il 40% delle persone».

E sulla dispersione scolastica, sul diritto all’uguaglianza, al lavoro, lei ha fatto in Parlamento proposte concrete?
«Noi chiediamo investimenti nella scuola, nella ricerca. Concordo anche con la proposta di Isaia Sales di sostenere economicamente le famiglie in difficoltà per far sì che i figli vadano a scuola e non a lavorare. C’è il patto educativo del vescovo di Napoli Don Mimmo Battaglia che è all’attenzione del governo. Sicuramente dobbiamo condurre questa battaglia in Parlamento per la riduzione delle disuguaglianze territoriali. C’è una parte del Paese, ovvero il Mezzogiorno d’Italia, che viaggia a una velocità diversa dal resto. Va molto più piano. Ora con il Pnrr, questa distanza dovrà essere ridotta, proprio il premier Draghi a Napoli ha detto che c’è la necessità impellente di ridurre il divario Nord-Sud».

Sì, la necessità c’è, ma la domanda era: come si riducono queste disuguaglianze? Lei cosa intende proporre in Parlamento?
«Diciamo che intanto c’è la questione minorile, quindi più maestri e più investimenti nella scuola pubblica. Bisogna investire nella digitalizzazione. Di questo dobbiamo parlare e dobbiamo investire in questi ambiti. Ridurre le disuguaglianze vuol dire investire di più al Sud».

Lei prima parlava di una presenza forte dello Stato in questi territori che più di tutti sono l’emblema delle disuguaglianze sociali. Prima Morra e poi Melillo hanno, però, affermato che in questi stessi territori lo Stato non esiste. Non è grave che il presidente della Commissione antimafia prima e il procuratore della Repubblica dopo, ammettano un’assenza delle istituzioni?
«Non ha detto proprio così Melillo… certamente esiste il degrado e c’è una questione meridionale assolutamente vera. Anzi, in alcuni comuni è sospesa la democrazia, e mi riferisco a quei tanti comuni sciolti per mafia. Per esempio, Castellammare di Stabia, o il consiglio comunale di Marano che è stato sciolto per ben quattro volte per infiltrazioni mafiose. È un tema molto forte e che riguarda ovviamente un interrogativo di fondo e cioè la qualità della classe dirigente del nostro Paese. Bisogna riflettere su come si forma la classe dirigente, anzi, è deleterio promuovere persone solo perché hanno pacchetti di voti. Questo simboleggia la caduta della democrazia».

Quindi se parliamo di scioglimento dei Comuni, di una presenza importante della criminalità organizzata su determinati territori, hanno ragione loro a sostenere che qui lo Stato non c’è?
«Non credo abbia detto proprio così, ma dico che è sicuramente una situazione di allarme e sono anni che sostengo che la politica e Roma sottovalutino l’emergenza criminale. Però dobbiamo anche dire che c’è una parte di Stato che sta conducendo una battaglia. Bisogna bonificare quei territori e lavorare sulla sicurezza sociale, sull’occupazione, sull’edilizia popolare. Bisogna costruire insieme e soprattutto intervenire sulla disoccupazione».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.