«Per quanto riguarda il fenomeno delle baby gang, che presenta aspetti connessi al disagio sociale e alla dispersione scolastica, entrambi accentuati dalle restrizioni legate alla pandemia, informo che nelle grandi Città metropolitane sono state assunte dai prefetti mirate iniziative di contrasto in raccordo con la magistratura minorile» ha affermato la ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, rispondendo in aula alla Camera a un’interrogazione di Fratelli D’Italia sul fenomeno delle baby gang, durante il question time. «Tale attività di contrasto si è avvalsa di un significativo aumento di risorse, sia della Polizia di Stato che dei Carabinieri complessivamente per 140 unità . Attenzione è stata riservata anche a Napoli, città interessata da episodi di delinquenza minorile» ha riferito ancora il ministro.  «Il capoluogo campano potrà contare anche su consistenti integrazioni di personale delle forze di polizia» conclude.

La soluzione a un fenomeno gravissimo e così complesso pare essere sempre la repressione stando alle parole della ministra Lamorgese. Ma possibile che le Istituzioni non riescano a vedere oltre il manganello? Vanno bene i controlli in strada e più forze dell’ordine in città, ma in che modo possono incidere sulla dispersione scolastica che in Campania arriva fino al 17,3%, portandoci sul podio poco onorevole della seconda regione italiana con più ragazzi che dicono addio ai banchi di scuola? In che modo possono contribuire a offrire soluzioni ai ragazzi che vivono in contesti “difficili”? Vanno bene i controlli, ma c’è un vuoto tra il prima e il dopo le perquisizioni e i fermi ai minori che commettono reati. Mentre arrivano flotte di poliziotti in città, il Patto educativo voluto da don Mimmo Battaglia non è mai decollato, le istituzioni tutte si erano dette entusiaste ma gli incontri non ci sono mai stati e ancora nulla è stato fatto.

«In realtà questa logica dei patti è tanto giusta quanto astratta» spiega Giovanni Laino, professore di tecnica e pianificazione urbanistica della Federico II che da quaranta anni con l’associazione Quartieri Spagnoli si occupa dei ragazzi che vivono in contesti fragili. «E’ molto difficile fare i tavoli di confronto, anche perché sembra che per certi aspetti i ministeri e le grandi istituzioni siano elefanti che fanno fatica a muoversi in contesti tanto delicati». E infatti il tavolo di confronto tra il ministro dell’Interno, il vescovo e il sindaco non c’è mai stato. «È evidente che la repressione non può essere la risposta alla violenza tra i giovanissimi e alla dispersione scolastica – continua Laino – Da anni ormai si è compreso che ci vuole un approccio integrato, ognuno deve fare bene il suo mestiere chi ha la responsabilità dell’ordine pubblico lo deve tutelare, ma sappiamo bene che non è una risposta. Bisogna tenere conto di quello che già c’è nei quartieri fragili e di ciò che già fa il terzo settore. Il tema – conclude – è mettere più ragionevolezza in queste cose, anche perché c’è una dispersione di risorse. Non sono sufficienti ma anche sprecate: c’è troppa improvvisazione».

Ecco perché invece di agenti, ci sarebbe bisogno di confronti costruttivi e soluzioni concrete per i ragazzi che vivono in quartieri difficili. Inutile dire che le forze dell’ordine e qualunque tipo di controllo in queste zone sono spesso assenti. «Sicuramente c’è bisogno anche di questo – racconta Clotilde Pucino – operatrice sociale della Casa di Vetro a Forcella – Detto ciò, il quartiere non offre alcun tipo di infrastruttura, spazio verde o luogo in cui passare il tempo. Resta solo la strada e la repressione non è sicuramente la soluzione ma piuttosto bisognerebbe “creare possibilità’’ per famiglie e soprattutto per i ragazzi». I controlli, certo, ma anche possibilità. Indagare cosa c’è dietro gli atti violenti delle cosiddette baby gang, conoscere i contesti familiari nei quali vivono e magari controllare se vanno a scuola o meno. Ma repressione non fa rima con tutto questo.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.