Dal trionfo alla disperazione, Matteo Salvini sta vivendo una condizione esistenziale per lui del tutto nuova: non soltanto la cocente sconfitta elettorale, ma la strada sbarrata per entrare al governo col vecchio ruolo di ministro degli Interni. Motivo: Giorgia Meloni a quanto pare non ce lo vuole e per una e una sola ragione: “Ma che, stamo a scherzà? Quello è amico de Putin e noi stamo dall’altra parte: nello schieramento internazionale non si devono dare segnali ambigui e Salvini agli Interni sarebbe un segnale ambiguo”. Si sa che poi i due si sono incontrati e hanno discusso per un’ora e sono corse varie voci su altri possibili collocamenti del leader della Lega che però punta i piedi e non ne vuol sapere.

Reggere il Viminale significa stare sulla tolda dell’ammiraglia da cui combattere la guerra contro gli immigrati e che produce gli unici consensi rimasti alla Lega. Il disastro delle forniture di grano ucraino e russo si sa che può portare a una fuga di massa da Paesi come l’Egitto e la Tunisia e che il Mediterraneo potrebbe affollarsi di disperati fuggiaschi. Come diceva un personaggio indimenticabile di Alberto Sordi, “Piatto ricco, mi ci ficco”: e Salvini sente che il Viminale potrebbe trasformarsi in un piatto ricchissimo per vietare gli approdi. La posizione della Meloni, come è noto, è a favore di una comune posizione europea che prevede un blocco navale per avere il controllo dei flussi e non sappiamo se Salvini perderà o vincerà, o se dovrà contentarsi del ministero dell’Agricoltura.

Vedremo dunque come andrà a finire, ma intanto assistiamo a una vera tragedia umanitaria: quella di Matteo Salvini che si ritrova con un pugno di mosche dopo aver sperimentato l’ebbrezza di livelli di consenso che gli permisero nel 2018 di infischiarsene di Berlusconi e della Meloni (allora al 4,5 per cento) e di stipulare un accordo a sorpresa con l’arcinemico pentastellato Luigi Di Maio, che introdusse lo sconosciuto personaggio Conte presidente del Consiglio prestanome, visto che né Di Maio né Salvini potevano consentire all’altro quella carica. La fine è nota: di quell’alleanza, Di Maio, dell’allora sconosciuto avvocato Giuseppe Conte che oggi impunemente dichiara di non riconoscere il risultato elettorale (“la maggioranza uscita nelle urne non corrisponde alla maggioranza del paese”) ponendosi in una posizione politicamente eversiva da nuovo Catilina. Salvini e Conte hanno sia litigato che fatto paci separate, ma certo è che il Paese al voto non ha dimenticato le sue responsabilità nell’aver avviato una svolta catastrofica della Repubblica.

Del resto la sua immagine – svettante ai tempi del Papeete – si è andata appannando, i suoi comizi progressivamente desertificati, specialmente nel Sud che aveva conquistato con geniali promesse mai realizzate: nel Meridione è stato battuto proprio dal giocatore cui lui ha aperto la strada a Giuseppe Conte che ha garantito il reddito di cittadinanza a chiunque lo chieda, mentre tutto il settore del turismo è malconcio perché mancano camerieri, cuochi e addetti alle pulizie. Intanto, al Nord e specialmente in Lombardia e Veneto covava una sorda rivolta contro la trasformazione della Lega Nord, che difendeva gli interessi del Nord, in una Lega nazionalista alleata con la Le Pen che è vista in Europa e nel mondo come il peggior pericolo di un ritorno al razzismo.

I consensi sono andati in picchiata mentre il M5s, che tutti si aspettavano scomparisse, benché dimezzato è rimasto in piedi e fronteggia la Lega salviniana nazionalista. Risultato: nel duello fra Meloni e Salvini per la raccolta del consenso nazionalista, stravince la Meloni a tal punto che il Veneto e larga parte della Lombardia parlano (politicamente) con il marcato accento romanesco di Giorgia Meloni. Ai tempi di Umberto Bossi un evento del genere difficilmente sarebbe potuto accadere ma con Salvini è accaduto. Una disfatta. E Matteo non è abituato alle disfatte.

Proviamo quindi ad osservare Salvini come essere umano. Anche a guardarlo, è un monumento alla frustrazione ed ha evitato di riconoscere una vittoria politica della Meloni, che ha liquidato come un’ovvia conseguenza della rendita da posizione dell’opposizione. La Meloni all’opposizione è diventata gradualmente la figlia prediletta, la “darling” di Mario Draghi che ha speso ottime parole per lei in Europa, placando gli scatti irosi di Ursula Von der Leyen e accelerando i pagamenti. Draghi non sarebbe mai intervenuto a favore di Salvini cui ha alluso trattandolo da marionetta dei russi e su quel fronte il povero Salvini si è trovato sempre scoperto e in ritardo: dalle magliette putiniane e dissennate dichiarazioni secondo cui “in Italia di Putin ce ne vorrebbero tanti”, ha dovuto fare i conti con la realtà e si è difeso e si sta difendendo dalla realtà.

Salvini ha sviluppato nel tempo un linguaggio difensivo usando parole spesso stucchevoli come “bimbi” anziché bambini, le sue “madonnine” stuprate di bacini e la costruzione di frasi oleose e al tempo stesso sbrigative che dessero la sensazione al pubblico di trovarsi di fronte a un uomo pratico, che si rimbocca le maniche, che non ha tempo da perdere con le ideologie, che pensa soltanto al carrello della massaia e certamente ai tremendi rincari energetici, ma defilandosi il più possibile dai giudizi sulla guerra di Putin limitandosi a dire che quando c’è una guerra bisogna assolutamente condannare l’aggressore. Ma di malavoglia. E così alla fine Salvini si trova in una posizione che è stata già sperimentata da molti leader: quella della caduta dal piedistallo, ed è lì che si varrà la sua nobilitate perché la sconfitta richiede forti dosi di leadership e questo il segretario della Lega lo sa e sta facendo sforzi notevoli e umani per far viaggiare insieme la consapevolezza dello stato delle cose e la tempra dell’uomo forte.

Certo, Salvini aveva dato per scontata una posizione nel prossimo governo di massimo rilievo al Viminale e adesso scopre che crescono le difficoltà e le resistenze, nazionali e probabilmente anche internazionali. Potrebbe darsi che riesca a vincere le resistenze e a succedere alla Lamorgese come la Lamorgese successe a lui, ma è una partita con poche speranze. Giorgia Meloni si è sentita inoltre molto irritata dal tono paternalistico con cui Salvini ha ringraziato gli elettori del centrodestra e quindi anche di FdI, come se fossero tutti equivalenti e dunque anche suoi. Le differenze caratteriali sono venire allo scoperto e preso i fatti diranno chi, fra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, è un vero uomo.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.