Ieri, intervenendo al Senato, Matteo Renzi ieri ha pronunciato questa breve frase, sulla quale ha raccolto degli applausi. La trascrivo: «La battaglia contro la cultura mafiosa non deve vederci divisi. Noi siamo garantisti ma non vuol dire che siamo buonisti. Quando Andrea Orlando nel 2016 venne a dirmi che Provenzano stava morendo e veniva chiesto di farlo morire a casa, noi che siamo per la giustizia abbiamo preso un impegno, mantenuto anche per Totò Riina: garantirgli il massimo delle cure possibili, ma sono morti in carcere perché quello era il loro posto». Non mi capita spesso di essere così profondamente in disaccordo con Matteo Renzi. Non condivido neppure una parola di queste che ha pronunciato

1- La battaglia contro la mafia si può fare in molti modi. Come la fa Nino Di Matteo o come l’ha fatta Falcone, o come l’ha fatta Leonardo Sciascia. Sono tre mondi, tre idee, tre capacità di pensiero diversissimi tra loro. I secondi due hanno alcuni punti di contatto tra loro. Il primo non ha niente a che fare con gli altri due. La lotta alla mafia come rendita di posizione è una delle grandi degenerazioni della magistratura, del giornalismo e della politica. Non ha niente a che fare con la battaglia per la legalità e per il diritto. Non c’è niente di male nel restare divisi tra difensori del diritto e difensori dell’emergenza.
2 – Se Andrea Orlando, all’epoca ministro della Giustizia, andò da Renzi e gli fece notare che una persona stava morendo in carcere e che forse bisognava fare qualcosa per farla morire a casa, per liberarla dal feroce 41 bis, fece molto bene. Renzi, che allora era Presidente del Consiglio, avrebbe dovuto ascoltare il suo ministro. Il fatto che questa persona si chiamasse Bernardo Provenzano è un dettaglio. Era una persona, non era i suoi delitti. La forza di una vera cultura antimafia consiste nel considerare tutti persone. Nel non arrogarsi il diritto di dividere gli esseri umani tra persone e bestie. Se ci si arroga questo diritto si esce dal diritto. Aver fatto morire Bernardo Provenzano, dopo anni di agonia e di incoscienza, al 41 bis, è una di quelle cose delle quali, secondo me, mai ci si dovrebbe vantare.
3 – Il carcere è un obbrobrio. Ancora di più è un obbrobio il 41 bis, il carcere duro, che oltretutto è incostituzionale. Una vera cultura garantista deve tendere all’abolizione del carcere. Non alla sua esaltazione. Il carcere non è il “loro” posto. Non è il posto di nessuno. Io non dubito che l’amore per il carcere come strumento di giustizia e di governo della società sia una caratteristica di tutte le culture reazionarie e forcaiole. Non vorrei che diventasse un feticcio anche per i garantisti. Sarebbe la fine di ogni speranza liberale.
4 – Non è una cosa brutta essere buonisti. Io trovo che sia una cosa brutta essere feroci.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.