Il fascicolo ora ha un’ipotesi di reato, rivelazione di segreto d’ufficio. Non ci sono ancora indagati ma la procura di Roma ha sentito come persone informate sui fatti il capo dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Russo, i vertici del Gom, gli investigatori che possono operare in ambiente carcerario, e in base a questi verbali è stato deciso di formalizzare l’ipotesi di reato. 

La denuncia presentata una settimana fa del deputato Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e sinistra) esce dal limbo degli atti dovuti e diventa un problema in più per Giorgia Meloni e la sua Fiamma Magica, l’inner circle di fedelissimi con cui si è attrezzata per governare il Paese e una maggioranza che sempre di più ne soffre il predominio assoluto. Dentro Fratelli d’Italia. E dentro la maggioranza. L’ipotesi formulata dalla procura significa che nonostante le rassicurazioni lessicali, e un po’ arrampicate sugli specchi, del ministro Nordio (“documento non segreto ma a diffusione limitata, divulgabile cioè solo a patto di alcune verifiche e condizioni”), il comportamento del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro delle Vedove e del vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli non è così adamantino come invece continua a sostenere la loro tutor Giorgia Meloni.

«Le loro dimissioni non sono all’ordine del giorno», ha ripetuto più volte ieri a Milano dove è andata a chiudere la campagna elettorale per il governatore lombardo Attilio Fontana. Un’indagine non è un capo d’imputazione. E però racconta che qualcosa è scappato di mano alle strutture (carcere e Dap), al ministero e ai deputati Delmastro e Donzelli che hanno propalato in Parlamento il contenuto della relazione di servizio del Gom relativa al 28 dicembre e al 12 gennaio scorso quando il detenuto anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame da oltre cento giorni, ha avuto “contatti” con altri capimafia e insieme hanno condiviso la protesta contro il carcere duro. Una “saldatura” anarchici e boss mafiosi non inedita nelle cronache carcerarie.

Il fascicolo era destinato ad avere un capo d’imputazione soprattutto dopo che i fatti hanno dato ragione al Pd, ad Angelo Bonelli, a Riccardo Magi (+Europa) e a tutti i deputati che in questi giorni hanno chiesto al Ministero della Giustizia, da cui dipende il Dap, di visionare i documenti di cui hanno parlato in aula Delmastro e Donzelli in quanto “pubblici”. Peccato che a tutti loro, uno dopo l’altro, sia arrivata la stessa imbarazzata risposta: i documenti citati “non hanno classifica”, cioè sono liberi, sono anche “divulgabili” ma non possono essere messi a disposizione del richiedente perché coperti da un decreto ministeriale (il 115 del 1996) che li rende nei fatti inaccessibili in nome della sicurezza nazionale.

Le chiacchiere a questo punto stanno a zero. Ovverosia, i contenuti di quelle relazioni era opportuno, se non necessario, che rimanessero tra gli addetti ai lavori. Un guaio, appunto, per la premier Meloni che avrebbe voluto cavalcare ma ora rischia di diventare un boomerang.
Se infatti Fratelli d’Italia aveva pianificato, prima che il caso diventasse slavina, di usare Alfredo Cospito come arma contro il Pd nelle ultime due settimane di campagna elettorale per le regionali in Lombardia e Lazio, adesso il rischio è che il caso Donzelli-Delmastro possa pesare nel consenso di quell’elettorato conservatore, di destra ma moderato che era di Berlusconi e su cui Meloni sta raccogliendo consensi. Non a caso Forza Italia ha preso le distanze in ogni modo rispetto a quanto successo nell’ultima settimana, “non è il nostro stile”, “mai avremmo alzato così tanto i toni”.

Nella chiusura di campagna elettorale al teatro Dal Verme a Milano, è stato Silvio Berlusconi a dare la posizione del destra-centro “unito”: «Mentre è in atto una protesta violenta in parallelo con lo sciopero della fame di un detenuto condannato per reati gravi, lo Stato, le istituzioni, la politica, non possono dividersi né perdersi in sterili polemiche. Occorrono unità, fermezza, coerenza e responsabilità». Una strigliata d’orecchie a tutti, Meloni compresa che sempre a Milano ha insistito: «Lo Stato non può scendere a patti con chi lo minaccia, non con la mafia ieri né con gli anarchici oggi. Quindi Donzelli e Delmastro restano dove sono». Peccato che nessuno abbia mai parlato di “scendere a patti con…” e che degli anarchici s’erano perse le tracce finché Cospito non è diventato un caso.

In compenso Meloni e i suoi più stretti collaboratori, non sapendo più come uscire da un ingorgo creato con le proprie mani, hanno ottenuto di compattare le opposizioni. Che vogliono il passo indietro di Delmastro e Donzelli da incarichi delicati e di governo. I 5 Stelle hanno depositato una mozione che accusa il sottosegretario Delmastro di “aver abusato dei suoi doveri” e recato “pregiudizio a indagini di mafia e terrorismo”. Il Pd ne ha depositata un’altra che “censura la rivelazione di informazioni riservate e delicate nella lotta a mafia e terrorismo e mostra l’assoluta inadeguatezza di Delmastro”.

Non è possibile presentare una mozione di sfiducia per un sottosegretario. È possibile però, una volta dimostrata l’assoluta inadeguatezza, “impegnare il governo a chiederne le dimissioni”. Le due mozioni possono convergere e si potrebbe unire ad entrambe anche il Terzo Polo che pure, dal primo giorno, chiede il passo indietro dei due scudieri di Meloni per “manifesta inadeguatezza” e inaffidabilità. Come fare il governo a fidarsi ancora di questi due? Meloni li può anche tenere al loro posto. Ma sono due giocatori azzoppati.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.