La “ragazza” non ci sta. E fa saltare il banco che Silvio e Matteo stanno allestendo con cura e parsimonia. In un’intervista al TG5 ieri sera Giorgia Meloni ha dato l’ultimatum ai suoi alleati. “Se non dovessimo riuscire a metterci d’accordo su chi sarà il candidato premier, non avrebbe senso andare al governo insieme. Confido che si vorranno confermare, anche per ragioni di tempo, regole che nel centrodestra hanno sempre funzionato, che noi abbiamo sempre rispettato e che non si capisce per quale ragione dovrebbero cambiare oggi”. Il nodo è quello della premiership.

La leader di Fratelli d’Italia vuole rompere la melina e la nebbia che Berlusconi, più di tutti, e Salvini per vari motivi stanno alzando su questo punto. Oggi sarà il terzo giorno consecutivo in cui le prime file di Forza Italia e Lega si prodigano in interviste il cui titolo o sommario è più o meno sempre lo stesso: “Inutile parlare di candidato premier del centrodestra. L’urgenza ora sono le liste e i programmi che dovranno essere presentati entro il 14 agosto”. I due prendono tempo. Lei invece vuole chiarire subito. E alla vigilia della riunione che Meloni ha voluto (domani) al Senato perché non si può sempre andare in gita sotto il patio di villa Grande, “poco serio e ancora meno credibile” dicono dallo staff, la presidente di Fdi ha rotto la melina. E ha dettato il suo ultimatum.

L’intervista, andata in onda ieri sera al TG5 delle 20, è stata anticipata intorno alle 18. In quel momento Berlusconi e Tajani stavano concludendo le rispettive interviste dove ribadivano il noto concetto: adesso occupiamoci dei programmi. L’ultimatum di Meloni ha costretto ad un supplemento di lavoro. Salvini ha annusato che quello di Meloni non è un bluff e ha subito indossato i panni del paciere. “Lasciamo a sinistra litigi e divisioni: per quanto ci riguarda, siamo pronti a ragionare con gli alleati sul programma di governo partendo da tasse, lavoro, immigrazione e ambiente. Chi avrà un voto in più, avrà l’onore e l’onere di indicare il premier”. Non si sa chi tra Forza Italia e Lega trovi più indigesto lo scenario di Meloni premier. Diciamo che è un sentiment condiviso che rischia di mettere a dura la prova la coalizione. Meloni pare abbia rotto gli indugi e deciso di fare l’intervista sulle reti Mediaset proprio in risposta ai desiderata fatti trapelare domenica dai vertici del Ppe che hanno lanciato Tajani premier.

Poi ieri mattina la doppia intervista della senatrice Lucia Ronzulli che una volta di più ha rinviato la discussione su Meloni premier. “Non è certo il momento”. E lo stesso Tajani su Rai 3, anche lì in modalità rinvio: ”Sul candidato premier decideranno i leader. Prima bisogna vincere la partita, convincere gli italiani della bontà del nostro progetto su politica economica, industriale, fiscale, ambientale, agricola”. In attesa di un’altra doppietta di interviste stamani, la “ragazza” ha deciso di spezzare il giochino, giocare duro e calare l’ultimatum. E ora?
Un’occhiata alle regole, prima di tutto. È vero che la legge elettorale non prevede l’elezione “diretta” del premier .

Ma è prassi condivisa che diventi premier il leader del partito più votato della coalizione. È una regola interna che risale al 18 gennaio 2018: quella sera, dopo un vertice fiume a palazzo Grazioli, il “padrone di casa” Silvio Berlusconi congedò Meloni e Salvini dopo aver firmato un programma comune in 10 punti per correre alle politiche del 4 marzo. In quel documento non c’era però nessun accenno nero su bianco sulla leadership e la ripartizione dei collegi uninominali previsti dal Rosatellum, sistema elettorale tutt’ora in vigore. E il principio “il partito con più consensi esprime il candidato a palazzo Chigi”, fortemente voluto allora da Salvini che era sulla cresta dell’onda, non è mai stato formalizzato ma è stato condiviso. Ecco perché Meloni la ricorda un giorno sì e l’altro pure. Della serie: non fate scherzi.

E invece la trama degli alleati è evidente: prendere tempo; logorare; far saltare i nervi. Due mesi sono pochi ma prima o poi una trappola da qualche parte scappa fuori. Anche oggi, nelle loro interviste, Berlusconi e Tajani proveranno a dire che il nodo della leadership non è adesso urgente. C’è tempo. Entro il 14 agosto devono essere presentate liste e programmi e questa ora è l’unica priorità. Infatti Meloni è “pronta” anche su questo. C’è il tema dell’assetto istituzionale italiano e di una riforma in senso presidenziale: dal presidenzialismo e da un rapporto diretto tra governo e cittadini dipende anche la possibilità di fare tutte le altre grandi riforme. Poi ci sono i temi economici: sostegno all’economia reale, a chi vuole lavorare, alle aziende che assumono. Chi in questa nazione vuole fare non deve essere disturbato dallo Stato. E c’è ovviamente tutto il tema sociale che va dagli anziani, ai giovani, ai nuovi poveri. “Ormai non esiste più un ceto medio e una forza sociale come la nostra non può fingere di non vedere”.

Berlusconi sta a sua volta preparando un programma “avveniristico”. Salvini ha i suoi cavalli di battaglia: flat tax, condono fiscale, lotta all’immigrazione clandestina. Più che fango è fanghiglia. E il ventilatore non è quello della “solita sinistra” nostrana, dei “poteri forti” e delle “cancellerie occidentali” che si sono già organizzate ad agitare lo spettro del “fascismo”. Troppo facile. Persino scontato. Il ventilatore che spara fanghiglia, Giorgia Meloni ce l’ha in casa. La leader di Fratelli d’Italia lo sa benissimo. E non da ora.

“Quando sarà il momento faranno di tutto per impedirmi di diventare premier” confessava già un paio di anni fa quando la discesa della Lega era diventata inesorabile, lo svuotamento di Forza Italia anche e la biondina che Berlusconi promosse a ministro nel 2008 appena trentenne, decise che comunque era arrivato il suo tempo. Bastava non sbagliare un colpo. Cioè stare sempre all’opposizione e far logorare da soli quei suoi alleati di carta. Ora che quella corsa iniziata nel 2014, anno di fondazione di Fratelli d’Italia, per salvare la fiamma tricolore rimasta senza casa tra un trasloco e l’altro è arrivata all’ultimo miglio, Giorgia Meloni venderà assai cara la pelle. Guardandosi, appunto, dal fuoco amico. Missione non facile.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.