Le elezioni politiche si terranno comunque presto. Forse già in autunno (se Draghi conferma le sue dimissioni e Mattarella deciderà di sciogliere il Parlamento) o, al massimo, nella primavera del 2023. Per questo i partiti, nessuno escluso, hanno iniziato la campagna elettorale. Come si sa, in questa occasione, ogni forza politica cerca di evidenziare al massimo quei tratti della propria identità e quei contenuti che, secondo le valutazioni del suo leader e degli addetti alla strategia (compresi gli spin doctor) servono maggiormente a confermare i consensi esistenti e, specialmente, ad attrarre nuovi suffragi potenziali. Occorre attirare l’attenzione sulla propria specificità, sottolineare gli ambiti tematici e le proposte che, presumibilmente servono di più a mantenere in primo luogo la propria base elettorale e, se possibile conquistare nuovi consensi.

In questa logica, ciascun partito deve differenziarsi più che è possibile dagli altri suoi concorrenti (della stessa o di altre aree politiche) e talvolta, anche dal Governo (che negli esecutivi di coalizione – specie se ampia, come accade in questo momento – rappresenta di fatto un compromesso di scelte e di idee, non sempre condivise in toto da tutti i suoi componenti). Ma, in realtà, non sempre i temi e i modi della comunicazione adottata dalle diverse forze politiche nello sforzo di caratterizzare la propria specifica identità e di sottolineare le differenze dagli altri competitor, paiono propriamente e sempre adatti a conquistare davvero nuove porzioni di elettorato. Prendiamo ad esempio il caso più eclatante, quello rappresentato dai 5 stelle e dalle loro scelte recenti, coincise con la minaccia costante di uscire dal Governo attraverso ultimatum eclatanti se quest’ultimo non fa totalmente proprie le priorità che essi indicano e, giovedì scorso, scegliendo di uscire dall’aula mentre si votava un provvedimento dell’esecutivo, provocando così le dimissioni del Primo Ministro. È un modo, come si è detto, per rafforzare la propria identità – anche distinguendosi dal resto dei partiti al governo – di fronte all’elettorato potenziale.

I grillini sono, come si sa, una formazione politica oggi in grave crisi. Sia dal punto di vista della coesione interna (hanno appena subito una grave scissione e la corrente “radicale” simboleggiata da Di Battista rumoreggia sempre più), sia, specialmente da quello della erosione costante di consensi evidenziata dai sondaggi e anche dai recenti risultati elettorali. I motivi di questo andamento sono noti: i 5 stelle erano riusciti a ottenere alle ultime elezioni una forte mobilitazione popolare e un numero enorme di voti, sulla base di slogan di carattere populista (primo fra tutti il “Vaffa”), volti contro l’establishment politico tradizionale. La deludente (a dir poco) esperienza di governo e, per molti eletti, il totale cambiamento di atteggiamento, hanno allontanato buona parte del loro elettorato originario, specie quello più legato ai temi della protesta, che si è rifugiata (per ora) soprattutto nella astensione, ma anche nel voto per altri partiti. Tanto che alcuni commentatori arrivano a prevedere la dissoluzione totale e definitiva del M5s.

Naturalmente, quest’ultima rappresenta una prospettiva che i pentastellati desidererebbero assolutamente evitare. Viceversa, dalle loro dichiarazioni è evidente l’ambizione (o, talvolta, solo la speranza) di invertire la tendenza negativa che, secondo i sondaggi sulle intenzioni di voto, ha caratterizzato in questi ultimi mesi il loro partito. Come recuperare questi consensi? A fronte del calo costante dei voti nei sondaggi, i grillini hanno ritenuto di individuare uno spazio di elettorato potenziale a sinistra (molto approssimativamente del tipo di quello mobilitato in Francia da Mélenchon, pur con le ovvie differenze di contesto), in un segmento che, a loro avviso, è stato tralasciato dal Pd ed è poco presidiato anche dalle forze politiche di quello spazio. L’area della protesta che è oggi finita in buona misura nell’astensione. Per aggredire questo segmento di elettorato i 5 stelle provano a smarcarsi dalla politica condivisa del Governo e a caratterizzarsi sempre più con parole d’ordine e slogan legati alla politica assistenziale, che rappresenta uno dei loro cavalli di battaglia.

Ad esempio, conferma del reddito di cittadinanza, nuovi bonus per tutti e così via. Con, anche, qualche accenno ambientalista (si ricorderà che proprio sull’ambientalismo sia Grillo che Conte avevano qualche mese fa preannunciato una ipotetica “svolta” del partito), esemplificato dal rifiuto della costruzione del termovalorizzatore di Roma, un’opera ritenuta da molti essenziale per la città e voluta fortemente dal sindaco Pd Gualtieri. In questo modo, una parte della leadership pentastellata ritiene possibile attirare (o, meglio, riattirare, perché in passato, ai loro tempi d’oro, ne avevano conquistato un significativo segmento) quella larga parte di elettorato che si trova attualmente in una situazione di disagio crescente, sia dal punto di vista sociale, sia, specialmente, dal punto di vista economico. In effetti questa base potenziale di consenso esiste veramente: le difficoltà economiche nella vita quotidiana di molti cittadini si sono fortemente incrementate, specie nell’ultimo periodo, anche a causa dell’inflazione e dell’aumento dei costi dell’energia: nel complesso, le situazioni di povertà, assoluta o relativa, si sono diffuse nel nostro paese ancor più che in passato e, secondo molti analisti della nostra economia, è prevedibile che in autunno si espandano in misura ancora maggiore.

Tuttavia, pur essendo plausibile sul piano dei contenuti, il posizionamento e la strategia comunicativa dei pentastellati sembrano a molti avere possibilità di successo limitate. In primo luogo, per la progressivamente deteriorata credibilità dei leader più in vista e, anche, di tanti parlamentari: una parte consistente del loro elettorato tradizionale non sembra comunque più fidarsi di loro, anche considerando il comportamento assunto negli ultimi anni e si aspetta personaggi nuovi (il che per inciso offre uno spazio potenziale considerevole ad altre figure politiche che si volessero collocare in quest’area di opinione). È vero che Conte può tuttora contare su di una vasta popolarità personale, ma, come tante esperienze passate mostrano, è assai difficile trasformare questi positivi tratti d’immagine in voti veri nelle urne. Insomma, Conte è assai distante dal livello di credibilità politica personale (anche nell’area politica che vuole presidiare) da quella di cui gode in Francia Mélenchon. Ancora, a torto o a ragione, le richieste grilline al Governo vengono percepite da settori consistenti dell’opinione pubblica soprattutto come slogan, petizioni di principio talvolta superficiali, con pochi (o nessun) dettaglio sulla reale fattibilità e possibilità di riuscita – che l’esperienza passata ha mostrato essere non facile – delle diverse misure, se non quella dell’ulteriore incremento del debito pubblico che già ci condiziona negativamente agli occhi dei nostri partner europei.

I rumori e le proteste all’interno e fuori dal governo per una politica più populista servono dunque sicuramente ad attrarre l’attenzione sui grillini, ma, secondo molti osservatori, potrebbero avere un effetto limitato sull’elettorato. Insomma, pur essendo molto diffusa tra i cittadini la preoccupazione per la propria situazione economica personale (assai più che quella per il paese nel suo insieme) gli slogan grillini non sembrano per ora efficaci nel loro fine principale: attrarre i voti. È possibile che i pentastellati escano dal governo, ciò che darebbe loro certo più libertà d’azione nella comunicazione e nella propaganda e, da questo punto di vista li rafforzerebbe. Così come lo stare all’opposizione ha fortificato la Meloni. Ma ciò nonostante – o forse proprio per questo – sin qui è ragionevole supporre che, malgrado le loro aspettative, il trend calante dei consensi dei pentastellati potrebbe non invertirsi.

Ma, in realtà, quello dei 5 stelle è solo l’esempio più eclatante di limiti nella comunicazione. Infatti, se ne riscontrano anche in svariate altre forze politiche. Si prenda, per fare un altro esempio, il Pd. Quest’ultimo, oltre ad essere il maggior sostenitore del Governo in carica, per cercare di distinguersi un po’, sembra fare negli ultimi tempi sempre più leva sulle tematiche attinenti ai diritti civili: l’esempio più recente è quello della proposta dello “ius scholae”, vale a dire la concessione della cittadinanza a chi ha compiuto un ciclo di 5 anni di studi nel nostro paese. Ciò che servirebbe a rendere italiani molti cittadini immigrati o, meglio, figli di immigrati (a tutt’oggi i minori stranieri in Italia sono poco più di un milione). La proposta in sé suscita il consenso di una parte consistente dell’elettorato: secondo una recente indagine di Swg la approva il 52% degli elettori del nostro paese.

Ma, al tempo stesso, sembra servire poco dal punto di vista della raccolta dei suffragi e della attrazione di nuovi voti. Come si è detto, infatti, i cittadini tendono oggi a basare la propria scelta elettorale più sulle questioni legate ai problemi economici quotidiani e, naturalmente, alla credibilità dei leader che le propugnano. Le tematiche civili, in questo periodo, parrebbero, da questo punto di vista, meno efficaci. Ma nelle ultime settimane, il Pd ha sensibilmente diminuito la comunicazione su questi temi, forse rendendosi conto che sono poco produttivi sul piano elettorale.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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