Alle elezioni regionali dello scorso anno quanti di noi nel segreto dell’urna non hanno vissuto un breve ma inteso attimo di esitazione nel tentativo di orientarsi nella babele dei ben 26 diversi simboli elettorali? Un mosaico complesso dove accanto ai pochi e superstiti simboli di partito, appena 8 divisi tra le diverse coalizioni e liste, ce n’erano altri 22 che forse non ritroveremo mai più sul rettangolo di una scheda. Meteore cromatiche, pot-pourri di sigle, abbreviazioni e aggregazioni pronte a decostruirsi un secondo dopo la chiusura delle urne. Mancano poco meno di due settimane allo scadere del termine previsto dalla legge per la presentazione delle candidature e dal lavoro che stanno freneticamente portando avanti le diplomazie del consenso, tutto lascia presagire che il 4 settembre, data ultima per depositare le liste, si rischia di battere il record del 2016 allorquando sulla scheda i napoletani si ritrovarono una autentica miniera di simboli: 41 contrassegni!

A sostegno di Gaetano Manfredi dovrebbero esserci una quindicina di liste, mentre più di dieci quelle in via di definizione che sono in allestimento per lanciare la sfida di Catello Maresca, poi se a queste aggiungiamo quelle delle mini coalizioni di Antonio Bassolino e di Alessandra Clemente, possiamo scommettere di superare abbondantemente le 32 liste chiuse nelle amministrative del 2001, le 26 varate nel 2006 e le 31 di dieci anni fa, con la vittoria “scassatutto” di Luigi De Magistris. Allora, vale la pena passare in rassegna alcuni di questi simboli, almeno quelli già presentati agli elettori, che di certo non passeranno alla storia per estetica, capacità mnemonica o sintesi cromatica. La particolarità di rilievo però di queste elezioni napoletane è l’abiura da parte dei partiti del centro-destra dei propri simboli che sono stati ridisegnati in fretta e furia per sottostare al diktat di Maresca che gli aveva intimato di aderire al suo progetto civico, rinunciando pero ai rispettivi vessilli.Una rinuncia, accettata dopo qualche settimana di un tira e molla più tattico che strategico, che conferma almeno due delle attuali condizioni di crisi di queste organizzazioni, in primis, l’incapacità dei partiti personali di allevare una classe dirigente locale che sappia conoscere e guidare i processi delle proprie collettività e non salire alla prima difficoltà su un taxi elettorale per traslocare armi e bagagli nello schieramento opposto. In secondo luogo, la perdita totale di credibilità dei partiti, sia nelle versioni pesanti che in quelle leggere di recente adozione, nell’epoca della società disintermediate. Ecco quindi, che la Lega espunge senza colpo ferire dal proprio simbolo il nome del suo leader, quel Salvini che negli ultimi anni era diventato a dir poco irrinunciabile, e riconverte il claim “Prima l’Italia” nel più confortevole “Prima Napoli”, mentre Forza Italia pur non smarrire del tutto quella quota residuale di attrattiva che ogni simbolo storico porta in dote alla campagna elettorale, ha scelto di metter sotto tutela la sua identità con un improponibile cordone sanitario azzurro nel quale il richiamo al civismo di Maresca è più che evidente.

Se invece diamo un’occhiata ai simboli delle liste civiche, allora qui i capolavori cromatici e semantici hanno già toccato e superato livelli elevatissimi, anche perché in tanti dimenticano poi che sulla scheda ogni simbolo, bello o brutto che sia, avrà uno spazio già definito di solo due centimetri. Purtroppo, nessuno riesce a salvaguardare l’unica regola aurea che dovrebbe essere seguita anche da chi si occupa di comunicazione politica ovvero “less is more”. In conclusione, per completare questa rassegna anticipata dei simboli che i napoletani si ritroveranno il 3 ottobre sulla scheda, non poteva mancare l’innovazione, sempre che resterà questo il simbolo, di Antonio Bassolino che ha scelto coraggiosamente di inserire nel cerchio oltre al cognome anche parte del volto. Una costruzione innovativa, che porta con sé anche una quota di rischio in quanto dalla prima candidatura a sindaco, eravamo a novembre del 1993, sono trascorsi oramai circa trent’anni.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).