Chissà cosa diranno i firmatari dell’appello degli intellettuali (che sul Manifesto, in sfregio della kantiana “libertà della penna”, si scagliarono contro gli odiati critici del governo Conte due) ora che l’avvocato del popolo pare convertito alle ragioni del presidenzialismo. I promotori di tutti i proclami a difesa della costituzione minacciata, i protagonisti di tutti i referendum contro le temute manomissioni della carta, dovrebbero, a questo punto, riconoscere quanto incauto sia stato il loro investimento a favore del campioncino del trasformismo spacciato come l’ultimo presidio di democrazia.

Con la stessa improvvisazione mostrata nella gestione di molteplici punti qualificanti della sua agenda di governo, adesso Conte si trasferisce nell’insidioso terreno delle grandi riforme indossando i panni di un novello padre costituente. Che maneggi la spinosa questione istituzionale con una ambigua padronanza delle tecnicalità della materia lo si ricava dal riferimento a due paesi assunti quali referenti della sua ingegneria costituzionale comparata.
Le ragioni della evocata svolta presidenzialista Conte le ricava infatti dalla esperienza della Germania e dell’Olanda. «Qui c’è un problema di sistema, io mi sono confrontato in Ue con Rutte che era da dieci anni lì, la Merkel 15 anni. Noi abbiamo dei premier che si alternano». È quanto meno strano che il nuovo capo del movimento che urlava “tutti a casa” adesso proclami le ragioni superiori della stabilità, della durata del potere. Il problema però è che la governabilità, che Conte ammira in Olanda e in Germania, proprio nulla ha a che fare con il presidenzialismo come ricetta magica.

Sono entrambe forme di governo parlamentari e in tutti e due i paesi è adottata la vituperata tecnica proporzionale (con una elevata frantumazione nei Paesi bassi). Paradossale insomma è che l’avvocato del popolo, folgorato dalla stabilità raggiunta da alcuni sistemi europei, attribuisca il rendimento istituzionale alla risorsa presidenziale che proprio nulla c’entra con i meccanismi costituzionali adottati nei due ordinamenti nordici. Lo schiaffo del dipartimento della Drome a Macron rivela come il solo paese europeo retto da un regime presidenziale non navighi in acque tranquille quanto a legittimazione dell’autorità e a capacità di tenuta rispetto all’assalto sovran-lepenista.
Il modello tedesco non solo non elegge direttamente il capo dello Stato (che poi è la figura che vanta dal punto di vista formale i minori poteri nel laboratorio europeo) ma poggia su elementi strutturali che urtano profondamente contro tutto il chiacchiericcio antipolitico dei grillini. Nell’ultimo rifugio della partitocrazia, seppure indebolite, resistono le organizzazioni di partito, con fondazioni nelle quali studiano migliaia di ricercatori, con ingenti finanziamenti pubblici. Non è un caso che sinora il populismo, che pure lì è penetrato, non ha raggiunto nei consensi elettorali i livelli di guardia riscontrabili altrove.

Sembra evidente che in Germania, con la legislazione e i dispositivi costituzionali esistenti, non sarebbe stata possibile la nascita di un micro-partito aziendale, con una struttura opaca, regole effimere e procedure in palese contrasto con i precetti che impongono la democrazia interna agli organismi politici. Inoltre, impensabile sarebbe nell’ordinamento tedesco anche la avventura di un non iscritto ad un non-partito che ingaggia una battaglia legale con un pastore sardo per ottenere l’anagrafe degli iscritti in modo tale da essere eletto capo di una organizzazione cui non si appartiene formalmente.

Se proprio vuole dedicarsi ad un’opera di riforme, e se davvero la sua preferenza va al modello tedesco, invece di sognare il presidenzialismo immaginario, Conte farebbe bene a mantenere l’impegno preso a suo tempo con Zingaretti per introdurre una legge elettorale di tipo proporzionale dopo il drastico taglio dei parlamentari. Gli accrocchi di maggioritari di coalizione andrebbero accantonati perché sono, tra le altre, una delle ragioni del transfughismo, della ingovernabilità, della più generale degenerazione sistemica. Le scappatoie verso il presidenzialismo vagano nell’assoluta incertezza circa le effettive capacità di rendimento degli innesti imposti in nome della governabilità. Perché i nostalgici del (mancato) Conte ter, che vivono nell’incubo del capitano, non glielo ricordano?