È una storia dai contorni opachi quella che emerge nell’inchiesta “Dirty Glass” condotta dalla polizia di Latina. Undici persone arrestate, fra cui l’imprenditore Luciano Iannotta, capo della Confartigianato in provincia di Latina. Nel lunghissimo elenco dei reati contestati figurano l’estorsione aggravata dal metodo mafioso, intestazione fittizia di beni, falso, corruzione, riciclaggio, accesso abusivo a sistema informatico, rivelazioni di segreto d’ufficio, favoreggiamento reale, turbativa d’asta, sequestro di persona e detenzione e porto d’armi da fuoco. Secondo l’accusa, l’imprenditore avrebbe gestito le proprie attività commerciali realizzando profitti illeciti derivanti dall’acquisizione di asset distratti da società commerciali in dissesto, dalla turbativa di procedimenti di esecuzione e da attività di riciclaggio di proventi di attività illegali. Ad aiutarlo il colonnello dei carabinieri Alessandro Sessa. Per gli inquirenti l’ufficiale dell’Arma si sarebbe messo a disposizione dell’imprenditore rivelando informazioni “attinenti al proprio ufficio”. In particolare, avrebbe fornito “informazioni tecniche sulle modalità di attivazione delle intercettazioni ambientali da parte della polizia giudiziaria, sulle modalità di disturbo della registrazione delle stesse, nonché adoperandosi nella ricerca di una persona di fiducia per operare la bonifica dell’autovettura di Iannotta dalla presenza di microspie”.

Il nome di Sessa era balzato agli onori delle cronache nel 2016 quando, con l’allora capitano Giampaolo Scafarto, aveva condotto l’indagine sulla centrale acquisti Consip. I due erano in servizio al Noe, Nucleo operativo ecologico, ed erano stati delegati dal pm napoletano Henry John Woodcock. Nel mirino Tiziano Renzi, padre del leader di Italia viva Matteo, poi prosciolto. Fra i filoni dell’inchiesta vi era anche quello della fuga di notizie. Come si ricorderà Luigi Marroni, ex amministratore delegato di Consip, era stato informato, verso la fine del 2016, che la Procura di Napoli stava svolgendo delle indagini su alcuni appalti pubblici gestiti dalla centrale acquisti della Pa. L’informazione sarebbe stata data dal generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia. Il comandante generale Tullio Del Sette, invece, avrebbe comunicato la notizia direttamente a Luigi Ferrara, allora presidente di Consip.

Marroni, dopo aver saputo di essere finito nel mirino, fece subito bonificare il proprio ufficio, rimuovendo le cimici installate dai carabinieri del Noe. L’indagine, sfumata, venne successivamente spacchettata per competenza territoriale. Quella sulla fuga di notizie giunse a Roma. Durante la trasmissione del fascicolo da Napoli a Roma, negli ultimi giorni del 2016, gli atti finirono interamente sui giornali. «La più grande fuga di notizie della storia», disse l’allora vice presidente del Csm, Giovanni Legnini.

La Procura di Roma, ricevuto il fascicolo, riscontrò irregolarità ed errori nella conduzione delle indagini effettuate dai due ufficiali dei carabinieri che avevano condotto fino a quel momento le operazioni. Inizialmente il pm romano Mario Palazzi fece anche riscrivere l’informativa, ma poi, proseguendo le fughe di notizie, decise di togliere il fascicolo al Noe e di assegnarlo ai colleghi del Reparto operativo della Capitale. A carico dei due ufficiali vennero contestate le accuse di rivelazione del segreto, falso e depistaggio. Poi tutte archiviate dal gup di piazzale Clodio Clementina Forleo. Questa indagine fece anche emergere uno spaccato non proprio edificante sulle dinamiche interne al Comando generale dell’Arma.

I due ufficiali, come emerso, volevano intercettare Del Sette, ora in pensione, e l’allora capo di Stato Maggiore Gaetano Maruccia, adesso vice comandante dei carabinieri. L’attività doveva essere effettuata ricorrendo all’utilizzo di sofisticatissime microspie da piazzare nei loro uffici di viale Romania. L’operazione non andata in porto, doveva servire per scoprire le “talpe” che avevano avvisato i vertici Consip dell’indagine a loro carico. Scafarto era poi diventato assessore alla Legalità al comune di Castellammare. Sessa, invece, era stato trasferito alla Legione Lazio. Incarico con un importante benefit: un prestigioso alloggio nella centralissima piazza del Popolo a Roma. Ieri, l’arresto.