Porte girevoli da far venire il mal di testa. Dalla magistratura alla politica e ritorno, in un giro di giostra che riporta alle più belle pagine di Sciascia. E d’altronde è nella sua Sicilia che il giudice Nicolò Marino, già nella Dda di Caltanissetta, ha costruito la sua carriera prima di arrivare a Roma, dove oggi è Giudice per le Udienze preliminari. È lui il Gup che, contravvenendo alla prassi, ha contraddetto la decisione della Procura della capitale e disposto il rinvio a giudizio per Luca Lotti, uno dei nomi eccellenti della maxi-indagine della Procura di Roma sul caso Consip. Si tratta dello stesso Nicolò Marino che era diventato assessore all’energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana nella Giunta Crocetta e del quale si trovano prese di posizione taglienti contro questo o quel personaggio.

Marino assume l’incarico di assessore regionale dopo aver ottenuto l’ok del Csm, il 12 dicembre del 2012 e ha ultimato l’incarico di governo il 14 aprile 2014. Sedici mesi in cui la toga è rimasta piegata nell’armadietto del palazzo di giustizia, e dei quali rimangono agli atti decine di articoli e di dichiarazioni politiche. Particolarmente entusiasta agli esordi («Pensavo veramente – ha spiegato – che la mia nomina fosse legata ad un progetto di governo. Ho capito che avevo fatto il mio tempo a Caltanissetta. (…) Accettai l’incarico di assessore perché mi allettava il programma di governo») entra poi in rotta di collisione con il governatore Crocetta. Con i dem ha un rapporto equivoco, un amore incompreso. È in seguito all’input di Pierluigi Bersani che il Pd, candidando Crocetta, propone un modello inedito, una Giunta fatta di volti nuovi e certamente strutturati, tra i quali appunto un magistrato antimafia come assessore alle utilities. Con Matteo Renzi – nel 2014 – prova a dialogare, e aggancia il renziano Davide Faraone, come risulta dal verbale di una audizione resa da Nicolò Marino – in veste di ex assessore regionale e non di magistrato, o forse entrambe – davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.

Dice Marino, parlando di Crocetta: «Voglio dire anche perché l’ho detto più volte che il referente in Sicilia di Renzi è l’onorevole Faraone, a cui nel febbraio 2014, poco prima di andare via, ancora assessore, dissi: “Se gli lasciate ancora nelle mani la Sicilia, finirà per distruggerla”. Oggi finalmente lui sta litigando con Crocetta. Ho depositato alla Corte dei conti tutte le note che avevo scritto a Crocetta su come venivano fatte le Giunte: non c’erano ordini del giorno, erano convocate a minuti, a Palermo, quando tu potevi essere in qualsiasi altra parte del mondo, nessuno studiava le cose, ed è tutto documentato». Uno sfogo dettagliato che dà prova dell’amarezza per la conclusione di quell’esperienza, soprattutto perché a Marino subentra nella seconda giunta a guida Crocetta (dove sono sei i ricambi) un altro magistrato al posto di Marino, questa volta concordato con il Pd a trazione renziana. È dunque l’accordo voluto dalla nuova direzione toscana del Pd – nel Giglio magico in cui primeggiava, in quel momento, proprio Luca Lotti – a determinare la caduta dell’esperienza del Crocetta I, con le dimissioni della giunta e la fine dell’esperienza amministrativa di Nicolò Marino. Sostituito tra l’altro con un altro magistrato antimafia, Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Caponnetto, rimasto in carica fino al rimpasto del Crocetta Ter, ottobre 2014, quando arriva sullo stesso scranno un’altra magistrata, Vania Contraffatto, ritenuta vicina a Davide Faraone.

Ed eccoci a mercoledì scorso, quando non più l’Assessore Nicolò Marino ma il Gup Nicolò Marino della Procura di Roma ritrova l’ex pretoriano renziano in aula. Sono rari i casi in cui – dimostrando un particolare incaponimento – la decisione del Gup determina il rinvio al processo, dando vita al paradosso per cui il Pm che aveva due volte deposto le armi, chiedendo l’archiviazione, dovrà tornare, ob torto collo, a vestire i panni dell’accusa. Ed è quel che è successo all’ex ministro Luca Lotti. Il gup della Capitale, andando contro la decisione della procura che aveva sollecitato il non luogo a procedere, ha disposto il giudizio per il parlamentare: rivelazione del segreto d’ufficio. Stessa decisione per il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia. Marino – oggi con la toga – ha fissato il processo al prossimo 13 ottobre. In quella data i giudici davanti ai quali si celebra il processo principale a carico di Lotti, Saltalamacchia ed altri, dovranno unificare i processi. «Affronterò il processo con la tranquillità e con la serenità di chi sa che si difenderà lì per raccontare la verità dei fatti», commenta l’ex ministro. E il suo legale, Franco Coppi, aggiunge: «È una decisione che sorprende, speriamo di avere maggiore fortuna davanti ai giudici della ottava collegiale». La fortuna, d’altronde, va e viene. Mentre la toga è per sempre.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.