Eccola qua, detta con le parole del ministro Lollobrigida: “Bisogna fare più figli, altrimenti diamo il via libera alla sostituzione etnica”. Parole da “suprematista bianco” lo accusa la segretaria del Pd Elly Schlein. “Affermazioni gravissime” per Raffaella Paita (Iv), “vergognose” secondo i Radicali. Ha commentato persino il professor Romano Prodi: “Siamo a livelli brutali”. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è a Auschwitz e al governo c’è chi, come il ministro dell’Agricoltura, evoca teorie sulla razza.

Uno cerca i motivi reali e oggettivi per cui da oltre un mese la maggioranza non riesce a trovare una posizione condivisa sul decreto Cutro che ridisegna, restringendoli, il sistema dei permessi per gli stranieri, dei salvataggi e dell’accoglienza. Uno segue le sfumature, si perde nei dettagli lessicali e normativi, si sforza di trovare qualche nobile motivo oggettivo per cui il decreto approvato all’unanimità dal governo è fermo al palo e andrà in aula oggi con il testo base e senza aver concluso l’iter in Commissione nonostante i numeri schiaccianti della maggioranza, e poi arriva il ministro dell’Agricoltura, fedelissimo della premier Meloni che mette sul tavolo la pura verità: altro che corridoi umanitari, decreti flussi e via dicendo, bensì “guai a creare le premesse per una sostituzione etnica”.

L’unica cosa da fare per combattere l’inverno demografico – 400mila italiani in meno ogni anno – lo spettro del default per il sistema pensionistico e la carenza cronica di mano d’opera “è incentivare le nascite. Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica, gli italiani fanno meno figli quindi li sostituiamo con qualcun altro, non è quella la strada”. Lollobrigida ha parlato ieri a fine mattinata al congresso della Cisal a Roma. E in quel momento è diventato palese che il primo nemico del decreto Cutro in quelle ore ancora in Commissione al Senato è chi lo ha approvato: la stessa maggioranza stritolata nello scontro tra Fratelli d’Italie e Lega con Forza Italia che cerca di mediare ma non ci riesce.

Per non sbagliare il governo ha già autorizzato la fiducia. “Ma non sarà utilizzata” assicurava ieri Alberto Balboni, presidente meloniano della Commissione Affari costituzionali al Senato. “I regolamenti lo impediscono poiché in aula arriva il testo base, non emendato. Quindi voteremo gli emendamenti uno dopo l’altro”. In realtà la fiducia sarebbe un atto di forza interno non digeribile. Una provocazione da evitare viste le divisioni interne alla maggioranza. Semplificando: la Lega vuole abolire il permesso speciale, vorrebbe dire 11 mila persone, solo nel 2022, che oggi hanno un permesso di lavoro e che si ritroverebbero all’improvviso clandestine in Italia; Giorgia Meloni, pur avendo annunciato “l’abolizione” di questa tipologia di permesso, ha proposto una versione più soft frutto di una mediazione con il Quirinale che ha i radar accesi su palazzo Chigi per questa e anche altre questioni. Il punto è capire chi molla per primo.

La cronaca di queste ultime ore racconta di un caos primigenio, di rivalità intestine proprio tra Meloni e Salvini. La prima deve mediare tra il suo elettorato che andrebbe anche oltre Salvini (quello a cui ha dato voce il ministro Lollobrigida) e il ruolo istituzionale che invece le impone un lessico e un alfabeto più alti e lungimiranti. Il secondo, Salvini, ha iniziato la campagna elettorale per le Europee del maggio 2024 avendo intravisto un po’ di logoramento nel consenso della premier dopo sei mesi di governo. Il problema è che anche Salvini sta forse sbagliando battaglia perché il suo elettorato cerca manodopera e non teme “sostituzioni etniche” e giudica lo stato di emergenza nazionale per quello che è: una scelta politica e non dettata dai fatti.

Comunque, a questo siamo: il testo base del decreto Cutro, 10 articoli suddivisi tra apertura di nuovi canali di ingresso legali e misure come l’apertura dei Cpr in ogni regione per trattenere chi deve essere espulso ma ancora non può essere rimpatriato, è stato corretto da due emendamenti del governo che hanno prodotto 350 sub emendamenti delle opposizioni e un subemendamento Gasparri-Lisei che cancella nei fatti la protezione speciale e altri 21 emendamenti (al testo base) della Lega. Cinque o sei di questi riguardano la protezione speciale, gli altri 15 stringono i bulloni sui Cpr e riportano in vita i vecchi decreti Salvini che furono poi ammorbiditi dal Conte 2. Questa la situazione. Se ci avete capito poco, avete compreso perché nella maggioranza la sfida è totale.

Alla fine sarà trovata una via d’uscita. Ma ogni volta il prezzo diventa sempre più alto. Il testo base va in aula stamani (ore 10). Ieri sera alle 20 sono scaduti i tempi per presentare nuovi emendamenti. Il governo ha riproposto i suoi. Anche la Lega ha riproposto i suoi. Forza Italia è in serio imbarazzo. Sarebbe stato trovato un accordo di massima per evitare che ognuno vada in ordine sparso ma solo a votazione avvenuta sarà possibile capire chi ha fatto il passo indietro e di quanto. “E’ solo una battaglia di regolamenti d’aula” rassicurava ieri il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo.

Le opposizioni hanno comprato il pop corn e sono curiose di capire come andrà a finire. “Si sono incartati” è il commento generale. Fonti di maggioranza pensano di chiudere giovedì. Con votazioni a oltranza. Senza fiducia. Alla Camera se ne parla la prima settimana di maggio. In serata Lollobrigida ha parlato di nuovo. Con il classico: “Sono stato frainteso” Meloni deve averlo chiamato e tirato un buffetto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.