Per l'avvocato continua il trattamento privilegiato
Così Amara inguaiò il Pm Toscano e salvò i Pignatone bros

Nuovo patteggiamento “scontato” per l’avvocato Piero Amara, il pentito preferito dalle toghe e noto alle cronache per aver rivelato l’esistenza della loggia segreta Ungheria di cui si sono le perse le tracce. Il tribunale di Roma ha infatti dato ieri il via libera al patteggiamento nei suoi confronti a sei mesi di reclusione per il fallimento, con circa 1,4 milioni di euro di imposte e tasse non pagate, della società P&G corporate. L’indagine era stata iniziata dall’allora pm Stefano Rocco Fava che aveva anche chiesto l’arresto per Amara. Arresto negato da parte dei suoi capi che poi gli avevano tolto il fascicolo.
Prosegue, dunque, il trattamento privilegiato riservato ad Amara “teste di accusa” delle Procure di Roma, Messina, Perugia e Milano, che non solo non lo hanno sottoposto a misure cautelari nonostante abbia continuato, dopo la sua finta collaborazione, a delinquere e a calunniare, ma non gli hanno sequestrato neppure un centesimo del suo ingente patrimonio costituito dagli oltre cento milioni di euro elargitigli dall’Eni e da una petroliera, la White Moon, carica di greggio iraniano sotto embargo, di cui abbiamo raccontato la storia sul Riformista nei mesi scorsi. Ed a proposito della sua collaborazione con i magistrati, tra le persone tirate in ballo per la loggia Ungheria vi fu anche l’ex procuratore aggiunto di Catania Giuseppe Toscano, padre dell’avvocato Attilio Toscano già collaboratore e collega di studio di Amara.
Di Giuseppe Toscano Amara parlò ai pubblici ministeri di Messina Antonio Carchietti e Antonella Fradà nell’interrogatorio del 24 aprile 2018, presenti anche l’aggiunto di Roma Paolo Ielo e di Milano Laura Pedio. «In occasione della vicenda GIDA, grazie all’intercessione del dott. Toscano, si riuscì a convincere Rossi (Ugo, ex procuratore di Siracusa, ndr) a coassegnare al Longo (Giancarlo, ex pm a Siracusa, ora in congedo, ndr) il procedimento sino a quel momento trattato dal solo Bisogni (Marco, ex pm a Siracusa, ora a Catania, ndr)», disse Amara, riferendosi al procedimento presso la Procura di Siracusa che vedeva indagato e poi imputato Amara stesso e la moglie S. B., soci della società GIDA oggetto dell’esposto al Csm di Fava. In quel procedimento sia Amara che la moglie avevano conferito incarichi al fratello avvocato dell’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Amara, però, non parlò di Pignatone e del fratello a cui aveva conferito molti incarichi bensì di Giuseppe Toscano, all’epoca già in pensione, e del figlio.
La Procura di Messina iscrisse immediatamente Toscano ottenendone il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio, poiché per la coassegnazione del procedimento GIDA a Longo, amico di Amara, Rossi era stato condannato fino in Cassazione. La Procura dello Stretto non procedette però negli stessi termini quando Longo dichiarò, per averlo appreso proprio da Amara, che il fratello di Pignatone aveva dato notizie dell’indagine a suo carico pendente a Messina, tanto che Longo poté predisporre una consulenza tecnica e una memoria difensiva per dimostrare la regolarità dei suoi conti bancari. In quel caso, infatti, la Procura di Messina aveva iscritto Longo per calunnia, salvo poi archiviarlo, senza tuttavia procedere contro il fratello di Pignatone o lo stesso Pignatone. Nel caso di Toscano, dunque, il procedimento andò avanti senza Amara, concorrente nel reato, che venne stralciato e nei cui confronti Carchietti e il procuratore di Messina Maurizio De Lucia firmarono, il 4 ottobre 2018, una richiesta di archiviazione per prescrizione. Ma non per abuso d’ufficio, il reato contestato a Toscano, bensì per furto.
Il gip di Messina Maria Militello archivierà allora Amara indagato per furto in concorso con Toscano indagato per abuso di ufficio, e la collega Tiziana Leanza rinvierà a giudizio Toscano senza porsi il problema di che fine avesse fatto il concorrente del reato Amara. La posizione di Toscano sarà successivamente dichiarata prescritta dalla Corte di Appello di Messina dopo la condanna in primo grado. Ora pende ricorso per Cassazione proposto dall’ex aggiunto di Catania. La vicenda messinese ricorda molto quella accaduta a Perugia dove Amara ha beneficiato di uno “stralcio” pur essendo stato, per i pm umbri, il corruttore di Luca Palamara, tanto che quest’ultimo è stato rinviato a giudizio esattamente come Toscano.
A Perugia però, considerata la “pericolosità” di Palamara nelle nomine dei magistrati al Consiglio superiore della magistratura, era stato fatto qualcosa in più. Il virus trojan era stato infatti inoculato solo a Palamara, tralasciando del tutto i suoi supposti corruttori: Amara, l’avvocato Giuseppe Calafiore ed il faccendiere Fabrizio Centofanti. Anzi quest’ultimo, in rapporti di frequentazione con l’allora procuratore di Perugia Luigi De Ficchy, non era stato neppure iscritto nel registro degli indagati se non a indagine praticamente finita. Ma anche questa storia l’abbiamo raccontata nei mesi scorsi.
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