Hanno battuto le stoviglie contro le sbarre delle loro celle. Hanno fatto rumore perché quel rumore uscisse dal chiuso delle alte mura perimetrali e diventasse il loro grido di dolore e di paura, urlato al mondo fuori. Sì, perché il sentimento più ricorrente adesso, anche all’interno degli istituti di pena, è la paura. Si teme la pandemia. Il Covid è entrato in carcere e in breve tempo il numero dei contagi è cresciuto, e continua a crescere, al punto da far pensare che non si resta immuni nemmeno dietro i cancelli e le sbarre, nelle celle in penombra e nelle giornate senza impegni e senza colloqui con i propri cari. Prima uno, poi dieci, poi venti detenuti positivi. La conta è aumentata di giorno in giorno, di certo anche con l’aumento del numero di tamponi eseguiti. E si è arrivati, secondo gli ultimi dati, a 80 detenuti positivi al Covid nel carcere di Poggioreale, sei ricoverati in ospedale e 141 positivi tra la popolazione carceraria nei vari istituti della Campania.

Adesso la parola emergenza comincia a essere utilizzata e gli sforzi sono concentrati a contenere i nuovi ingressi e a gestire al meglio il sovraffollamento. Altri trenta detenuti, dopo gli oltre cinquanta dei giorni scorsi, sono in partenza da Poggioreale per le piccole carceri di Arienzo ed Eboli. I detenuti positivi sono in quarantena e sotto controllo medico e la direzione del carcere e quella sanitaria si impegnano per contenere i contagi. Ma l’onda del virus è ormai nel carcere. Anzi, meglio dire che è nelle carceri. Perché il problema non è circoscritto ad un unico istituto. E i contagi non riguardano soltanto la popolazione carceraria. Crescono, infatti, i positivi anche tra coloro che lavorano all’interno degli istituti di pena. Sono ormai 187 in Campania gli agenti della penitenziaria e il personale socio-sanitario in quarantena o in isolamento a causa della positività al Covid-19.

Cosa si aspetta? Quanti altri contagi devono ancora verificarsi perché siano adottati provvedimenti drastici e rapidamente efficaci anche all’interno delle carceri? Se lo chiedono tutti quelli che non riescono a rimanere indifferenti di fronte al grido di dolore di migliaia di persone che sono in cella, costrette a vivere in quattro, in sette o addirittura fino a 14 in una stanza di pochi metri quadrati, in condizioni precarie sotto il profilo igienico, senza distanziamento, tra insetti e umidità. Il grido di migliaia di persone che in cella scontano condanne brevi o residui di pochi mesi, migliaia di persone che sono in carcere solo perché sospettate di aver commesso un reato ma ancora in attesa di una sentenza. Sono tutti rinchiusi in spazi ristretti dove diventa difficile, se non impossibile, stare a un metro di distanza. E se in cella uno tossisce, subito sale la tensione e cresce la paura. E quella paura i detenuti di Poggioreale, ieri mattina, hanno deciso di urlarla per chiedere che il carcere non continui ad essere un argomento di serie B, superato da altre necessità politiche, giudiziarie e sociali, da altre emergenze.

Il frastuono delle stoviglie battute contro le sbarre delle finestre (i detenuti la chiamano battitura ed è una loro forma di protesta) si è sentito fino al cuore della city napoletana, al Centro Direzionale, nella zona della cittadella giudiziaria, della Procura e del Tribunale di Napoli. «La situazione è talmente eccezionale che ormai solo l’indulto può rappresentare una soluzione – interviene il garante dei detenuti della Campania Samuele Ciambriello – Se non si adotta ora un atto di clemenza, quando?»

Sabato mattina, insieme al garante cittadino Pietro Ioia, al cappellano del carcere di Poggioreale Gianfranco Esposito e a una delegazione delle associazioni Antigone e Liberi di volare, il garante Ciambriello incontrerà il prefetto di Napoli Marco Valentini. Mentre al Governo i garanti di tutta Italia continueranno a sollecitare interventi normativi per estendere le misure alternative alla detenzione a un numero decisamente maggiore di quelli che si calcolano potranno beneficiarne stando agli interventi attualmente contenuti nel decreto Ristori. L’attenzione è in particolare concentrata sui braccialetti elettronici che non ci sono e su quelli disponibili che non sono sufficienti, oltre che sui reati ostativi nei cumuli di condanne, un “paletto” che penalisti e garanti chiedono di abolire per chi ha condanne brevi da scontare.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).