La Camera penale di Napoli e l’associazione Il Carcere Possibile onlus, in questa doppia fase emergenziale, hanno sottolineato innumerevoli volte, persino con la lettera aperta al Ministro della Giustizia, il rischio di contagio da Covid legato al sovraffollamento dei penitenziari e la inidoneità delle misure varate dal Governo per ridurre il numero dei detenuti. Il contenutissimo limite di pena (di 18 mesi) e le numerose ipotesi ostative alla concessione della detenzione domiciliare (persino per reati di maltrattamento e stalking) impediscono di centrare questo risultato.

Basti pensare che, con riferimento agli istituti penitenziari napoletani, il numero di detenuti che potranno usufruirne (senza considerare l’ostatività) è di circa 250, a fronte di quella riduzione di circa 800 unità necessaria per allineare il numero delle persone recluse alla disponibilità dei posti; senza contare poi che, come noto, la cronica indisponibilità di braccialetti elettronici rallenterà notevolmente l’efficacia del provvedimento anche per quei pochi che potranno usufruirne. Rispetto alle misure cautelari, il numero dei detenuti in custodia negli istituti penitenziari della Campania è di 2.715 unità, di cui 1.695 ristretti nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano (864 in attesa di primo giudizio, 422 appellanti e 292 ricorrenti in cassazione). Benché i soggetti sottoposti alla carcerazione preventiva siano ovviamente in numero inferiore rispetto a coloro i quali stanno espiando una condanna irrevocabile, sarebbe stato necessario prevedere una rivalutazione delle esigenze cautelari alla luce dell’emergenza epidemiologica.

A fronte, poi, dell’assenza di una previsione normativa emergenziale in favore dei soggetti detenuti in custodia cautelare, il nuovo decreto legge 149/2020 (il cosiddetto Ristori-bis), all’articolo 24, con una disposizione di dubbia ragionevolezza e conformità ai parametri costituzionali, è intervenuto prevedendo addirittura la sospensione dei termini di custodia cautelare (oltre che di prescrizione) «durante il tempo in cui l’udienza è rinviata per l’assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell’imputato in procedimento connesso i quali siano stati citati a comparire per esigenze di acquisizione della prova, quando l’assenza è giustificata dalle restrizioni ai movimenti imposte dall’obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario in conseguenza delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione della emergenza epidemiologica da Covid-19 sul territorio nazionale previste dalla legge o dalle disposizioni attuative dettate con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro della Salute».

La norma, che sembra limitare la sospensione dei termini alle misure cautelari personali e non anche a quelle coercitive e interdittive, è certamente criticabile nella parte in cui attribuisce all’impedimento di un terzo (diverso dall’imputato e dal suo difensore) la proroga di una misura che incide sulla libertà personale del detenuto. La misura cautelare è per sua natura temporanea (in quanto non può diventare, o non dovrebbe diventare, una espiazione anticipata della pena non ancora comminata) e le ipotesi di sospensione della durata del termine di custodia cautelare sono espressamente contemplate dal codice di rito che, naturalmente, le attribuisce all’impedimento addotto dall’imputato o dal difensore, non certo all’assenza di altre parti processuali.

La norma, peraltro, prevede che questa sospensione sia disposta per un periodo di tempo che va ben oltre il mero impedimento (ovvero 60 giorni a partire dalla “prevedibile” cessazione dell’impedimento stesso); periodo la cui durata è rimessa al prudente apprezzamento del magistrato che dovrà di volta in volta valutare, in assenza di consulenze mediche, quando potranno ritenersi cessate le «restrizioni ai movimenti del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell’imputato» e fino a quando, dunque, resterà sospeso il termine di custodia cautelare.

In un periodo, come questo, nel quale si invitano (e con alcune restrizioni si obbligano) i cittadini a garantire il distanziamento sociale necessario a evitare il contagio, è inconcepibile che si continui a pensare alla popolazione carceraria come ad “altro da noi” e che si adottino misure che, anziché limitare i nuovi ingressi in carcere e favorire il più possibile l’espiazione della pena con misure alternative alla detenzione (e l’accesso alla misura cautelare della custodia in carcere solo come extrema ratio), costringa i detenuti, in deroga alla normativa in vigore, a trascorrere ancora più tempo in cella.