«Quando noi chiudevamo, altrove si facevano iniziative pubbliche: Milano non si ferma, Bergamo non si ferma, Brescia non si ferma. Poi si sono fermati a contare migliaia di morti. Migliaia non centinaia». Sono queste le parole – definite orribili, vergognose, lugubri, orrende, disgustose – che hanno definitivamente capovolto l’immagine, finora vincente, di Vincenzo De Luca. È come se si fosse alzato un coro per dirgli: ora basta, non ci fai più ridere. Ed è una novità, perché mai si era squarciato in modo così evidente il manto di divertita tolleranza che in questi mesi ha protetto il governatore campano, anche quando la sparava grossa e, giocando con le parole, offendeva e ridicolizzava gli avversari. Il vento è cambiato.

Ne terrà conto il diretto interessato? Correggerà qualcosa nel suo modo di comunicare e di fare? A mio avviso, tra tutte le reazioni recenti ce n’è una che pesa in modo particolare. Una che fa la differenza. E che andrebbe ben valutata bene non solo da De Luca, ma anche dal Pd e dall’intero universo che lo sostiene. Non è la reazione dello stomacato Salvini, tutto sommato prevedibile («De Luca? Uno che continua imperterrito a ridere dei nostri morti, dei morti di Brescia, Bergamo e Milano. Mi fa schifo»). O quella del più mite Fontana («Mi dispiace questo livore nei confronti della Regione Lombardia. Quando si è in campagna elettorale si esagera sempre, si dicono delle cose che sarebbe meglio non dire»). E non è neanche la reazione di de Magistris, che pure non cala dal Nord e non è tutta ascrivibile alla scarsa simpatia che lo lega al governatore («Le sue sono parole vergognose che non rappresentano il sentimento del popolo meridionale fatto di grande cuore e di grande umanità; parole inqualificabili per il contenuto e per come sono state dette. Con questo linguaggio non si riparte. Ora è invece il momento di unire il Paese con parole di solidarietà e fratellanza»). La reazione di cui parlo è quella del Corriere della Sera, il primo giornale d’Italia, la voce più autorevole della borghesia lombarda.

Se si muove il Corriere della Sera vuol dire che qualcosa sta cambiando nello spirito pubblico nazionale. E sull’ultima esternazione di De Luca il giornale di via Solferino si è mosso, eccome se si è mosso. Prima, giovedì, con un commento di Marco Imarisio («Quella frase è orrenda. I morti sarebbe meglio lasciarli stare»). E poi ieri con un’intera pagina, che è già una scelta (e non solo grafica) e i cui due titoli dicono tutto quello che dovevano dire. Il primo: «L’ennesimo eccesso di De Luca che fa indignare tutti». Il secondo: «Ultima in Italia per i test, la Campania è prima tra le regioni del Sud per crescita dei sondaggi. I dati: solo 217 tamponi per ogni 100 mila abitanti». Ed è evidente che il colpo più duro viene proprio dal secondo che tra l’altro regge un articolo impietoso di soli fatti, cifre e comparazioni. De Luca è avvertito. C’erano una volta i primati campani.

C’erano l’autocelebrazione e l’enfasi oratoria del governatore. Ora ci sono i bluff. E l’intenzione è chiara: andare a vederli. Senza più sconti o cedimenti al fascino dell’istrione. Ieri, nel suo consueto monologo settimanale, De Luca ha espresso generica solidarietà ai lombardi, ma non ha chiesto scusa per le parole che ha usato, come pure in molti gli avevano chiesto di fare. Ha poi scaricato – come sempre – tutte le colpe sui giornalisti. Non è un buon segno. Ed è assolutamente vero che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.