Una giustizia obesa, che si muove lentamente, rappresenta un peso non più sopportabile per il nostro Paese. Ma il Legislatore, nonostante tale evidente menomazione, continua a ingrassare di nuove fattispecie un diritto penale ormai in agonia. Vi è una spasmodica ricerca di punizione, irrazionale, inutile e dannosa, che mira a un consenso popolare che cavalca l’onda della momentanea emotività. Occorrerebbe, invece, una drastica “cura dimagrante”, che privi di rilevanza penale tutte quelle condotte che possono essere valutate senza la necessità di indagini particolari. Un’ampia depenalizzazione è invocata, da tempo, dall’Unione delle Camere Penali Italiane che, anche su questo tema, ha dimostrato lucidità di pensiero, nonostante sia evidente che l’avvocatura, per un proprio interesse corporativo, dovrebbe augurarsi l’aumento delle condotte penalmente rilevanti.

La diminuzione dei reati consentirebbe di ottenere il massimo rendimento delle risorse umane e degli spazi deputati alla celebrazione del processo penale, permettendo di attuare i principi del giusto processo, dettati dall’articolo 111 della Costituzione, secondo i quali lo stesso deve avere una durata ragionevole, garantire il contraddittorio e i diritti della difesa. Oggi, invece, la durata non solo è “irragionevole”, ma ignobilmente lunga, mentre il cittadino – imputato o persona offesa – ne paga le conseguenze e l’Italia viene additata, a livello internazionale, come inaffidabile. Le condotte depenalizzate potranno trovare una sanzione amministrativa che, con maggiore efficacia, saranno da deterrente per nuove azioni illecite.

Se è vero che gli illeciti penali devono confrontarsi costantemente con il momento storico e, in particolare, con il grado di civiltà di un Paese, con il cambiamento e l’evoluzione degli usi e costumi di una società, è altrettanto importante che si promuova immediatamente una corretta informazione sullo stato comatoso della nostra giustizia e si affidino all’accertamento penale le sole condotte che abbiano effettivamente una rilevanza particolare e che necessitano di indagini, non eseguibili in altre sedi. Si potrebbero fare molti esempi di delitti e contravvenzioni da abrogare, ma probabilmente quello più eclatante riguarda i reati urbanistici che, pur considerati giustamente gravi per l’impatto devastante sul territorio, potrebbero essere disciplinati in maniera diversa.

È del tutto irrazionale che il verbale per una costruzione ritenuta abusiva debba far nascere due procedimenti: uno penale, l’altro amministrativo. In entrambe le sedi si dovrà accertare se quanto contestato sia effettivamente illecito e disporre, eventualmente, la giusta sanzione, con tempi biblici in tutti e due i casi. Basterebbe, invece, la sola procedura amministrativa, in quanto l’indagine da svolgere è esclusivamente oggettiva, riguarda un luogo, un manufatto e l’esistenza o meno di titoli autorizzativi. Nulla di più. L’illecito potrà essere punito in tempi rapidi, anche con la confisca o l’abbattimento.

Si recupererebbero nel penale enormi risorse. Esistono in molte Procure della Repubblica, sezioni specializzate per i reati urbanistici, che gestiscono migliaia di procedimenti destinati al dibattimento, che a sua volta viene sommerso dai relativi fascicoli, la maggior parte dei quali, dopo anni, giungeranno in Corte di Appello e poi in Cassazione. Per l’accertamento di una violazione urbanistica, in ambito penale, saranno dunque coinvolti un sostituto procuratore e probabilmente nove giudici e tre procuratori di udienza, oltre al personale delle varie segreterie e cancellerie e sperperate risorse economiche preziose. L’occhio vigile di un imprenditore comprenderebbe immediatamente l’inutilità di tali farraginose procedure, ma alla politica interessa solo una giustizia penale non in salute, ma “grassa” dei suoi innumerevoli reati.