La Campania è la terza regione per numero di ragazzi che lasciano prematuramente gli studi, con un tasso di abbandono del 19,1 per cento contro una media nazionale del 14. E, secondo i dati di Tecnè, la percentuale scende al 17 se si considerano i giovani tra 18 e 24 anni. In alcune zone periferiche della Regione, ma anche di Napoli, la quota degli allievi che dicono addio ai professori sale addirittura al 25. La fascia più a rischio è quella delle scuole medie, è lì che si perdono i ragazzini tra 13 e 16 anni. In totale, addirittura il 34 per cento dei giovani tra 15 e 29 anni non è inserito in un percorso di istruzione o formazione. E non serve andare a Scampia e pensare alle scene di Gomorra per capire. Basta fare una passeggiata nel centro storico o ai Quartieri Spagnoli per fotografare una realtà triste che non ha bisogno immaginazione: si vedono chiaramente le macerie di uno Stato assente, di famiglie in difficoltà e di bambini che un futuro non riescono proprio a disegnarlo.

«La dispersione scolastica è un argomento delicatissimo ed è un problema che affligge la scuola italiana da decenni – spiega Mia Filippone, ex preside del liceo Genovesi che ha vissuto per anni anche la realtà delle scuole medie – I dati oggi sono drammatici quando dovrebbero, invece, almeno avvicinarsi all’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000 che ipotizzava una dispersione scolastica al 10 per cento». I numeri, però, sono altri e sono dovuti «alla totale assenza di un welfare che dovrebbe intervenire prima sul tessuto sociale, sostenendo economicamente le famiglie e creando lavoro, poi sulla scuola – dice Filippone – che fa già tantissimo per arginare il fenomeno dell’abbandono scolastico, ma se non si interviene sul contesto si riesce a fare poco e niente».

Servono strutture e personale che possano occuparsi dei ragazzi anche durante il pomeriggio, garantendo lo svolgimento del tempo pieno che in Campania offrono pochissime scuole. «Per quanto i professori possano impegnarsi – sostiene Filippone – è chiaro che poi i ragazzi tornano alla loro quotidianità che è fatta di disagi economici che si traducono in povertà educativa e culturale, fattori che portano a vedere la scuola non come opportunità ma come perdita di tempo». Sulla questione interviene anche l’ex assessore regionale all’Istruzione Caterina Miraglia: «Per tanti ragazzi che vivono situazioni economiche di disagio, la scuola deve rappresentare un’opportunità di lavoro immediata e concreta. Professionalizzare i corsi di studio è fondamentale, altrettanto è creare alternanza scuola-lavoro e privilegiare gli istituti poliformativi». Per fare questo c’è bisogno di investimenti e di ripensare le scuole.

«La Regione deve spendere per dotare le scuole di strumenti moderni e all’avanguardia – suggerisce Miraglia – partendo dall’edilizia scolastica. Sì a corsi di teatro, di musica e sportivi, ma non è quello che rende attraente la scuola per i ragazzi che vivono situazioni difficili». Situazioni dalle quali è complicato tirarli fuori perché le figure che dovrebbero farlo sono assenti e, quando ci sono, si occupano di bambini tra i cinque e i dieci anni dimenticando che quelli più a rischio sono gli adolescenti, facili prede per la criminalità organizzata che intravede nella totale assenza di valori e punti di riferimento la possibilità di attrarli a sé. «Gli assistenti sociali sono quasi del tutto assenti – sottolinea Filippone – e questo è un problema enorme. I docenti arrivano fino a un certo punto, dopodiché servono proprio gli assistenti sociali. Spesso, invece, siamo costretti a rivolgerci ai carabinieri quando vediamo che un alunno non frequenta le lezioni».

Serve un piano per la scuola che, però, deve avere radici profonde nel tessuto sociale. E serve subito: secondo un report della onlus Tutti a scuola, sono 130mila gli adolescenti che iniziano le superiori ma non conseguono il diploma e, di conseguenza, sono destinati a irrobustire la statistica dei due italiani su cinque che non hanno un titolo di studio superiore alla licenza media e di un giovane su quattro che non studia e non lavora. E l’istruzione superiore? Tra chi si diploma e si iscrive all’università, uno su due non ce la fa. Complessivamente, su cento iscritti alle superiori solo 18 si laureano. Ma poi un quarto dei laureati va a lavorare all’estero. E il 38 per cento dei diplomati e laureati che restano non trova un lavoro corrispondente al livello degli studi che ha svolto. In Campania i laureati di età compresa tra 30 e 34 anni sono soltanto il 21 per cento: una performance peggiore possono “sfoderarla” solo Puglia, Calabria e Sicilia, ferme al 20 per cento. Bisogna fare qualcosa: in gioco c’è il futuro della regione.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.