Il caso Cospito e il 41 bis
Donzelli ‘l’imputato’ non si fida di Mulè al gran giurì e lo silura, la presidenza passa al grillino Costa

Il caso Cospito sembra tornare dove doveva sempre restare: nei binari della giurisdizione che dovrà risolverlo con gli strumenti consoni, quelli del diritto. Il caso Donzelli-Delmastro invece ha aperto una voragine nella maggioranza. E una profonda crepa dentro Fratelli d’Italia. La prova che nulla può essere più nascosto e imbellettato con le parole è la “scelta” del vicepresidente della Camera Giorgio Mulè (Forza Italia) di non presiedere il Gran Giurì d’onore, organo supremo di disciplina della Camera dei deputati convocato quattro volte dal dopoguerra.
“Nelle ultime quarantotto ore – si legge nel comunicato di Mulè – mi sono confrontato con il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, per verificare l’opportunità di presiedere la commissione che dovrà pronunciarsi su quanto successo in aula martedì 31 gennaio tra l’onorevole Giovanni Donzelli e diversi deputati dell’opposizione. Dal momento che presiedevo l’Aula quando i fatti sono accaduti, abbiamo convenuto di non dare seguito all’incarico. Ringrazio il presidente Fontana per aver pubblicamente riconosciuto la correttezza delle mie azioni nella funzione di presidente di turno dell’aula”. Una sottolineatura per dire che qualcuno, nella maggioranza, ha messo in dubbio la correttezza di Mulè. La spaccatura tra Fratelli d’Italia e Forza Italia è ormai una voragine.
Una differenza di stile e di comportamento più volte sottolineata negli interventi in aula degli azzurri e anche della Lega nelle ultime 48ore e che così possono essere sintetizzati: “Donzelli ha sbagliato, doveva chiedere scusa e invece ha scatenato l’inferno e ha preteso che i colleghi (i super zelanti di Fratelli d’Italia, ndr) reiterassero l’errore”. Ad esempio le deputate Montaruli e Gardini che, più realiste del re, hanno fatto eco alle tesi di Donzelli. Il lessico usato in aula è stato più cauto e vellutato, ma il concetto non cambia. “È stato fatto un errore, almeno serva da lezione a questa maggioranza” ha detto il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo. Ma la vicenda Mulè è più “grave” letta con gli occhi di una coalizione di maggioranza. L’azzurro presiedeva l’aula martedì mattina quando Donzelli ha iniziato a leggere relazioni con informazioni sensibili del Dap su Cospito e i suoi colloqui in carcere accusando il Pd, che era andato a visitare in carcere il leader anarchico, di fiancheggiare terroristi e mafiosi.
Più volte, dallo scranno della presidenza Mulè ha provato a contenere la furia di Donzelli, lo ha invitato a chiudere l’intervento prima che fosse troppo tardi. Non ce l’ha fatta e a quel punto ha dovuto lasciare ampio diritto di replica ai deputati delle opposizioni, Pd in testa. Una discussione che è andata avanti dalla mattina alle 10.30 fino al pomeriggio alle 17. In queste ore il caso Cospito è diventato il caso Donzelli. Con tutto quello che ne consegue. Doveva essere Mulè a presiedere il Grand Giurì composto da due parlamentari e un membro dell’ufficio di presidenza. Non ci potranno essere deputati Pd né di Fratelli d’Italia. Sarà probabilmente il 5 Stelle Costa, l’ex ministro, a presiedere l’organo di disciplina che dovrà decidere se e fino a che punto Donzelli è censurabile e punibile.
Nel frattempo Mulè ha rilasciato interviste a giornali e tv per stigmatizzare la “sgrammaticatura” istituzionale di quanto era avvenuto. “Scusate ma sono abituato a ragionare con la mia testa” ha ripetuto più volte. Coraggioso, senza dubbio. Come il capogruppo di Forza Italia Alessandro Cattaneo che sempre martedì mattina, mentre volavano stracci, ha espresso “rammarico per un clima che è andato degradandosi su un tema che dovrebbe essere unificante come l’istituzione della commissione antimafia”. Tutto sale sulle ferite di Fratelli d’Italia. A chi mercoledì cercava tra i parlamentari di maggioranza reazioni della premier sull’accaduto, della serie “chissà come sarà arrabbiata con i suoi due fedelissimi per la figuraccia”, la risposta era più o meno sempre la stessa: “Giorgia arrabbiata con Delmastro e Donzelli? Ma quando mai. E’ furiosa sì ma con Forza Italia…”. Nasce così l’ordine a Mulè di fare un passo indietro. Non è la prima volta, basti pensare quante volte è stato imposto a Berlusconi di arretrare rispetto alle sue richieste, un ministero per Ronzulli, il dicastero della Giustizia, la vicepresidenza del Csm. Ogni volta no, no e ancora no. Ricordate gli appunti di Berlusconi “rubati” dai fotografi prima della formazione del governo? Aveva scritto il Cav: “Giorgia supponente e arrogante”. Ha vinto lei. E non ce n’è per nessuno.
Il problema è che una dinamica analoga è aperta da sempre anche con la Lega dove Salvini sembra aver imparato a fare il cinese che siede in silenzio sul fiume ad aspettare il cadavere. E ora è aperta ufficialmente anche dentro Fratelli d’Italia. Nel presiedere l’aula della Camera, anche Fabio Rampelli, padre politico di Giorgia, ha usato la stessa misura di Mulè: di fronte all’evidente errore di Donzelli, Rampelli ha dato alle opposizioni lo spazio che chiedevano. Non lo ha soffocato. Ha rispettato il Parlamento. Ma tanto a Rampelli è già stato tolto molto. Quasi tutto. Giorgia Meloni ha un problema enorme, nella coalizione e nel partito. Glielo ha detto bene Matteo Renzi l’altra sera: “Siamo finalmente arrivati al nodo politico. Quale è la vera natura di Fratelli d’Italia? Volete avere una visione dello Stato moderno con una giustizia liberale? O inseguite il giustizialismo forcaiolo di Donzelli e del sottosegretario?”. Appunto, chi è o cosa sceglie Giorgia Meloni?
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