Giuseppe Conte parla ma dice poco. Enrico Letta parla meno ma dice assai di più. Soprattutto lontano dai microfoni e dalle dirette streaming in quei colloqui con i leader dei vari partiti di maggioranza e opposizione che macina ogni giorno in una sorta di tour di “presentazione” che ha invece sempre di più lo spessore dell’indagine preliminare sulle regole del gioco. Dalla legge elettorale ai regolamenti parlamentari decisivi per evitare quei trasformismi continui che hanno caratterizzato le ultime legislature – e questa soprattutto – e che sarebbero intollerabili in un Parlamento dimagrito di un terzo dopo il taglio dei parlamentari.

E così il “cantiere Pd-M5s” annunciato da entrambi con la previsione di “affascinanti avventure” sta diventando il cantiere di una coalizione larga, dal centro alla sinistra, dove il Pd ha la golden share in una sorta di riedizione di Ulivo o Unione 2.0 che nel 1996 e nel 2006 furono anche le uniche due volte in cui il centrosinistra in versione campo largo – molto largo a dir la verità – riuscì ad avere la meglio sul centrodestra.

La regole del gioco sono quindi il vero tema dei bilaterali organizzati da Letta. La cosa non è sfuggita alla Lega dove più d’uno, dalle parti di Salvini, si sta facendo da qualche giorno la seguente domanda: “Cos’ha in testa Letta? Vuole andare a votare?”. Così come non è sfuggita la perentorietà con cui nelle occasioni istituzionali dell’ultima settimana il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ribadito di non avere alcune intenzione di accettare il bis al Quirinale. Febbraio 2022 è la data a cui i leader politici hanno cominciato a guardare. Anche se è probabile che il premier Mario Draghi non abbia completato, per quella data, la ripartenza del paese dopo la pandemia.

Vedremo. È comunque conseguenza di questo quadro il rinnovato attivismo di Matteo Salvini per tutelare l’identità della Lega rispetto a Giorgia Meloni rimasta all’opposizione. E per trovare casa in Europa. Il centrodestra può ambire a governare l’Italia solo se si sarà “costituzionalizzato” in chiave europeista. Salvini ha fatto questa promessa prima di entrare nel governo Draghi. L’annuncio di ieri a Budapest con Orban e Morawiecki, la nuova casa del “Rinascimento europeo” non è stata da questo punto di vista una mossa brillante.

Letta ha molto chiaro questo quadro. E s’è portato avanti col lavoro negli incontri bilaterali. Dopo Conte, il segretario dem ha già visto Tajani, Meloni, Bonelli dei Verdi e Fratoianni di Sinistra Italiana. Poi verrà il turno di Renzi e Salvini. Così, sotto traccia, il segretario ha incaricato le due teste d’uovo dem sulla materia, il deputato Stefano Ceccanti (costituzionalista) e il senatore Dario Parrini (presidente della Commissione Affari costituzionali) di lavorare a una nuova ipotesi di legge elettorale utile a costituire il “campo largo”.

In sintesi la proposta si compone di un sistema a doppio turno: vince, al primo turno, chi supera il 40% dei votanti (e non degli elettori o aventi diritto al voto). Un’asticella posta volutamente così alta perché difficile da superare per qualsiasi coalizione, anche forte. E poi un ballottaggio (detto secondo turno) cui accedono le due coalizioni (o i due partiti) meglio piazzati al primo turno. Ballottaggio che, però, assegna un “premio” alla coalizione (o partito) vincente solo fino al 55% dei seggi presenti in Parlamento. È un modo raffinato per non far “vincere troppo” il vincitore scelto dagli elettori e, dunque, per impedirgli, in buona sostanza, di cambiare la Costituzione o di eleggersi, da solo, il futuro (nel 2029) Capo dello stato.

Accetterà la Lega? Per Salvini il maggioritario è allettante. Il doppio turno meno. Vedremo. In questa ipotesi, ancora molto in erba, non è chiaro ancora lo sbarramento per le forze coalizzate (semmai il 3% e non certo il 5% oppure con soglia variabile a seconda della grandezza dei collegi) e come saranno eletti i parlamentari. Con liste bloccate corte (modello proporzionale, alla spagnola)? Tutti collegi uninominali, dove vale il principio che il primo vince tutto (tipico dei sistemi anglosassoni)? Tutti dettagli che saranno chiari solo quando il cantiere della legge elettorale avrà un testo vero.

Il “punto politico”, dicono gli esperti delle materia, è che Letta “ha in parte preso atto che le coalizioni non possono che essere preelettorali”. Che l’ipotesi, coltivata da Zingaretti e Bettini, di un proporzionale puro (il Brescellum nei cassetti della Prima commissione alla Camera) per cui le coalizioni si fanno dopo il voto visti i risultati, non è più praticabile. È evidente, dopo appena un mese, che il governo Draghi ha radicalmente cambiato il contesto politico. La costituzionalizzazione della Lega (quella di Giorgetti che dialoga con il Ppe, però e non certo quella di Salvini che va da Orban) ha sgomberato il campo dal rischio che forze antieuropee come Lega e Fdi potessero, con un maggioritario, trasformare una maggioranza relativa in maggioranza assoluta. Da qui nasceva l’ipotesi del proporzionale. “Da questo nuovo quadro – spiegano gli esperti di leggi elettorali – Letta sembra aver tratto due conclusioni logiche e coerenti”.

La prima, politica, è che “il Pd non sarà più condannato a governare per fare fronte contro la vittoria di forze antieuropee”. La seconda è di tipo istituzionale: “Le ragioni per il proporzionale si sono esaurite e torna possibile ragionare di coalizioni elettorali scelte dal cittadino arbitro, secondo la lezione di Ruffilli e Andreatta e la stagione referendaria dei primi anni 90”. Ecco perché la soluzione più equilibrata è quella del “doppio turno di coalizione, giusta mediazione tra esigenze garantiste che tengano al riparo le istituzioni di garanzia e quelle del principio dell’alternanza con il cittadino arbitro dei governi”. Il cantiere della politica ha ripreso a lavorare. Mentre Draghi si occupa di portare il paese fuori dalle sabbie mobili del virus.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.