Mario Draghi ha inventato l’alzata di spalle senza alzare le spalle. Quando, dopo lunghi arzigogoli, dei giornalisti finalmente gli chiedono in forma involutissima come abbia preso il voto contrario della Lega in commissione sul Green Pass, il capo del governo schiera una dozzina di micro comportamenti corporei che vanno da una piccola rotazione del globo oculare a un lieve sollevamento della spalla destra, una leggerissima rotazione del mento, apertura e subito chiusura delle labbra, un minuscolo stato di istantanea immobilità, per poi dire in modo precipitoso, affinché nessuno abbia la sensazione che lui tentenni, perché è un uomo che non tentenna e quando tentenna fa finta di tentennare per concedere qualcosa alla retorica del dubbio alla quale sa che bisogna pur pagare dei minuscoli prezzi politicamente corretti, per dire semplicemente: beghe di partiti. Questo colpisce più di lui: ha detto “ma queste sono storie di partiti e se la devono vedere i partiti”. Te saluto Salvini, gli ha fatto un baffo il voto contrario in commissione.

Stesso piglio sulla politica internazionale e l’Afghanistan, che ha citato per sottolineare che gli afghani che ci portiamo a casa sono in pratica cittadini italiani, rifugiati accolti nelle strutture militari e tutti vaccinati. Si ferma a guardare l’effetto che fa e annuncia (altra botta a Salvini e Meloni, perché sul punto si erano spesi in alti lai molto demagogici) che d’ora in poi tutti i rifugiati e gli immigrati e i senza patria né carta d’identità, verranno vaccinati, non si discute nemmeno il caso contrario. Lo dice con un piglio che non lascia spazi. Sull’Afghanistan non lascia interstizi per polemiche internazionali: voi sapete quello che è successo e come sono andate le cose. E che bisogna cambiare moltissimo perché tutte le relazioni internazionali sono in movimento, stasera vedrò a cena a Marsiglia il presidente francese Macron e parleremo certamente anche di questo. E lo dice in modo rapido anzi precipitoso, accendendo e spegnendo il sorriso che di solito tiene acceso, ma che in momenti di sottolineatura forte rabbuia quel minimo necessario all’interlocutore per farsi venire un colpo e lui, il Premier, il Prime Minister, dà per scontato che non si possa dare nulla per scontato.

L’impressione è sempre quella di un uomo che sa fin troppo bene quel che fa e che deve veramente sforzarsi di far credere che dedichi molta più comprensione di quanta gliene consigli l’istinto alle posizioni che aborre. Sulle minacce ai giornalisti e le violenze è drastico quanto lo deve essere, sulla Lamorgese dà buca a Salvini, il quale ha dato buca a lui e così la partita è pari e patta e non se ne parla più: la Lamorgese non si tocca perché sta facendo – mi sembra – bene il suo lavoro, e quindi non vedo proprio perché dovremmo criticare l’operato di un ministro che lavora bene.
Passiamo ad altro, ma di altre cose importantissime non ce n’erano poi tante anche se le ha suonate tutte a mano d’arpa perché erano tutte previste e prevedibili, dall’economia che tira al mantenimento degli impegni per la riapertura delle scuole. E i ministri competenti gli hanno fatto eco tutti, come se avessero fatto le prove di un balletto in cui i tempi tecnici della comunicazione sono stati drasticamente scuoiati rispetto alla parlata a vanvera da prima Repubblica ancora molto in uso in ampie zone politiche e non.

Certo, il mio giudizio è totalmente soggettivo. Io stesso nel pronunciarlo chiedo scusa a tutti i molti che non la pensano affatto come me, ma ancora una volta ho avuto l’impressione che Draghi sin da quando andava a scuola dalle monache, cosa mai successa per altro ma almeno dai preti, studiasse da leader. È inutile stare a girare intorno alla faccenda della leadership, quella o ce l’hai o non ce l’hai e lui ce l’ha. Cerca di nascondere quest’impaccio che si porta addosso, la sua leadership evidentemente innata che ha un effetto rimpallo sugli uomini e le donne di governo che sono al suo fianco e che cercano di essere all’altezza e di non fare la brutta figura di scivolare in un lago di parole inutili.

Lo stile è l’uomo e l’uomo è in grado di cambiare lo stile dei governi e della politica. Troppo presto per dirlo, ma anche troppo banale, troppo già letto, ma anche troppo confermato da questa conferenza di ieri in cui tutti hanno presentato una pagella di buoni voti, hanno detto le parole giuste non una più del necessario e alla fine il presidente del Consiglio ha assunto quell’espressione che poi finisce sulle prime pagine di tutti i giornali europei e del mondo per cui, si dice e non si dice, ma tutti vedono che nello stivale italiano c’è un’aria talmente nuova da poter contaminare il resto dell’Europa.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.