Difficile elencare, senza dimenticarne nessuna, tutte le crisi che l’Italia sta attraversando in questo momento: la crisi economica, la crisi del debito pubblico, la crisi pandemica, la crisi energetica, la crisi idrica, la crisi della giustizia, la crisi della fiducia nelle istituzioni, la crisi dell’assenteismo elettorale, la crisi dei rifiuti, la crisi dei rapporti internazionali che discende dalla guerra in Ucraina, la crisi dell’immigrazione clandestina con milioni di disperati che premono sui confini. È un elenco lungo e, certamente, incompleto. Ebbene, l’Italia è chiamata a fronteggiare un momento così grave in una condizione di assoluta debolezza politico-istituzionale.

Le dimissioni di Draghi certificano, difatti, che anche quella impalcatura, costruita nei palazzi del potere per sopperire alle inadeguatezze dei governi precedenti, non ha retto di fronte alla Come è possibile che le istituzioni appaiano deboli e prive di credibilità proprio nel momento, in cui la loro solidità sarebbe essenziale per affrontare la tempesta che sta imperversando? La risposta, molto probabilmente, sta nel fatto che non si è consentito al sistema democratico di sviluppare la sua capacità di stabilizzare e rendere solido il consenso intorno alle istituzioni. Sono oltre dieci anni che, in Italia, il presidente del Consiglio non è più espressione della volontà elettorale. Nello stesso periodo, si è assistito ad un continuo progressivo svilimento della volontà elettorale. Negli altri paesi di democrazia liberale la crisi della classe politica è stata affrontata chiedendo al corpo elettorale una nuova legittimazione democratica.

Si pensi alle elezioni in Spagna o in Israele. In Italia, la crisi è stata ragione per evitare il confronto con il corpo elettorale. Meglio governi partoriti nei palazzi del potere che espressione della volontà democratica del paese. Per non parlare di quello che è accaduto con la pandemia, utilizzata come strumento di sterilizzazione di una corretta dialettica democratica, mentre, nel resto del mondo liberaldemocratico, nessuno si sognava di impedire lo svolgersi di elezioni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Al di là del consenso, rilevato dai sondaggi, che può avere l’attuale Presidente del Consiglio, quello in carica finisce con l’essere un governo figlio di nessuno, sul piano democratico, e che, quindi, tutti i cittadini sono legittimati a disconoscere e contestare. A questo si deve aggiungere che il metodo della prevalenza delle decisioni di palazzo, portato avanti con assoluta costanza nell’ultimo decennio, ha reso evidente ad ogni elettore la sua irrilevanza pressoché assoluta: i giochi di palazzo sono destinati a prevalere e il cittadino non si sogni neanche lontanamente, quando vedrà che la sua scelta è stata tradita, di ritornare al voto, perché vi sarà sempre una ragione, che in funzione di un interesse superiore, impedirà di chiedere al popolo di esprimersi. Di fronte ad una meccanica ripetizione di questo schema, che meraviglia può esservi in ordine alla circostanza che il partito dell’astensione sia in crescita costante!

Sotto altro profilo, la circostanza che il gioco democratico non possa svolgersi fino in fondo ha anche l’effetto di impedire che emergano veri leader, capaci di guidare il paese. Ridurre artificiosamente gli spazi di competizione, proprio quando più ce ne sarebbe bisogno, paralizza quella selezione delle classi dirigenti, che è viceversa favorita da un sistema democratico, che come tale guarda positivamente all’alternanza. Ecco, allora, che l’inadeguatezza democratica con cui il paese sta affrontando questo momento segnato da mille crisi non è altro che la logica conseguenza di modo di procedere, che, da troppo tempo, interpreta il legame tra popolo ed istituzioni come un dato meramente formale. Si può dire che proprio nel momento in cui la crisi è più grave, la democrazia presenta il conto delle offese che le sono state arrecate. Ed anche il tema della pretesa superiore responsabilità, che giustificherebbe queste offese, va affrontato nella sua dimensione reale. Il cattivo funzionamento del sistema democratico ha avuto, in Italia, un effetto devastante: la esplosione del Movimento 5stelle, il cui ingresso nella stanza dei bottoni ha prodotto danni, alcuni dei quali difficilmente riparabili in tempi brevi.

Oggi il Movimento appare in dissoluzione. Ma questo è dovuto alla palese incapacità dei suoi dirigenti e non già alla scomparsa o a un cambio di atteggiamento di quella parte di elettori che li hanno votati. Si è formata, cioè, una massa elettorale pronta a seguire qualsiasi nuovo avventurismo. Si tratta di un dato pericoloso per la tenuta democratica. Il Movimento 5stelle, nella parte più cospicua dei suoi rappresentanti, aveva nel DNA un saldo ancoraggio ai principi democratici e, perciò, il sistema democratico non ha corso rischi. Ma, in ogni caso, l’esistenza di quella massa costituisce un pericolo per la democrazia. L’unico modo per ridurne la consistenza è quello di far funzionare il più possibile le regole democratiche.

Vicende come quelle che hanno colpito la Germania e l’Italia negli anni ’20 o, in epoche più recenti, la Grecia o il Cile insegnano che la democrazia non è per sempre. Anzi, proprio la delicatezza dei sistemi democratici richiede una cura costante, che in Italia, specie negli ultimi tempi, è stata trascurata. La gravità del momento è tale da rendere gravido di pericoli insistere con questa trascuratezza.