Nicola Zingaretti il Partito Democratico lo conosce molto bene, avendo ricoperto ruoli apicali a ogni livello fino a diventarne segretario nazionale dal marzo 2019 al marzo 2021. Presidente della Regione Lazio dal 2013 al 2022, oggi parlamentare dem, a Il Riformista Zingaretti argomenta il suo sostegno ad Elly Schlein.

Sostiene Matteo Orfini in una intervista su questo giornale che se si vuole davvero cambiare classe dirigente, la scelta è Bonaccini, visto che a sostenere Elly Schlein ci sono coloro che in questi anni hanno dato le carte nel Pd. Uno di questi risponde al nome di Nicola Zingaretti.
Ho letto. Anche Bonaccini ormai tutti i giorni riprende solo questa litania e mi dispiace davvero molto. Con l’Italia governata dalla destra, un politico che aspira ad essere leader non dovrebbe mai ricorrere a queste misere argomentazioni. Bisognerebbe organizzare il consenso intorno a un’idea di Paese alternativa, scommettere su valori forti, riaccendere su essi la passione politica. Inoltre la ricostruzione storica che si propone è fondata su una menzogna. I nostri iscritti ed elettori non possono essere presi in giro. Invito tutti a voltare pagina.

Perché sulla menzogna? Perché vi definiscono perdenti?
L’intera classe politica che con Renzi (che è l’unico ad essersi assunto le sue responsabilità) è stata responsabile delle peggiori sconfitte, a cominciare dalle amministrative del 2017 e la disfatta delle elezioni politiche del 2018, non sta certo con Schlein ma con Bonaccini che per altro di quel gruppo dirigente era protagonista come lo stesso Orfini che addirittura era Presidente del Partito. Tra il 2019 e il 2021, invece con una nuova linea e un nuovo gruppo dirigente, spesso chiamato ingiustamente in causa anche in queste ore, in piena pandemia, il Pd ha vinto, non perso, tutti gli appuntamenti elettorali: amministrative, regionali ed europee. Ha fatto uscire il Pd dall’isolamento politico, malgrado gli equilibri parlamentari del 2018, governato bene il Paese dandogli una prospettiva di alternativa alle destre. Questo avvenne perché avevamo iniziato a darci una nuovo profilo, più attento alle questioni sociali e ambientali e a praticare una cultura unitaria.

Qual è il peggior difetto che vede riproporsi?
È la presenza di un nucleo moderato, conservatore che in maniera un po’ oligarchica, dopo una scelta democratica del segretario, se non gli va bene lo logora. Dopo la mia elezione del 2019 ha tentato di picconare e smontare una linea vincente e ha brindato quando nel 2021 si è archiviata la strategia unitaria. La sconfitta alle ultime elezioni politiche è figlia del ritorno della linea del “pochi ma buoni”, dove si confonde l’orgoglio con il settarismo. Anche per questo bisogna ribellarsi a una ricostruzione falsa della nostra storia che qualcuno tenta. Non è una storia “mia” ma nostra. Le scelte le abbiamo compiute insieme e invito anche tantissime persone che stimo sinceramente e oggi sostengono altre candidature a riscoprire un po’ di orgoglio per un’avventura di rinascita comune, visto che tutte le scelte le abbiamo prese all’unanimità: direzione, gruppi parlamentari, sindaci e presidenti di Regione. Ognuno combatte per le sue idee ma ci sarà un dopo congresso e comunque vada, questo patrimonio comune va salvaguardato.

Dopo la sconfitta alle regionali in Lombardia e Lazio, invece di un dibattito serio, approfondito, sulle ragioni di fondo sembra essersi aperta la caccia ai presunti responsabili. Siamo alle solite?
Le ragioni della sconfitta seppure con una importante tenuta del Pd, che comunque non consola, sono molteplici. Certamente, dopo il voto di settembre la situazione politica era ed è incredibilmente difficile e si sta provando a discutere nei limiti angusti dati dalle regole congressuali. L’errore semmai è stato fin dall’inizio nell’aver avuto paura di aprire con la Costituente un dibattito vero coinvolgendo di più l’intero Paese. Quello che appare assolutamente evidente è che l’astensionismo ha colpito soprattutto noi. Abbiamo pagato in maniera drammatica la proposta di una alleanza di governo non credibile, perché ci siamo divisi. Le persone scelgono anche in base a questo. Nelle alleanze che ho guidato abbiamo sempre vinto. Nel 2008 alla Provincia e alla Regione nel 2013 e 2018 con numeri impressionanti di votanti e in giornate di drammatiche sconfitte nazionali, questo è avvenuto anche perché avevamo proposto progetti più credibili di governo avendo costruito, prima del voto, le condizioni per l’unità e a partire da me combattuto per mantenerle. Per questo sorrido quando parlano di perdenti!

Invece di provare a sostanziare una parola molto gettonata a sinistra, “identità” si torna a litigare sulle alleanze, sui “campi larghi”.
La nostra identità non è un dato astratto ma è figlia di contenuti programmatici, valori e una visione politica chiara. L’identità dunque, è l’avanzare di un credibile progetto per vincere, che ora dobbiamo di nuovo darci. Il riformismo non è solo fare leggi nuove, ma un processo che attraverso le leggi, la decisione e l’iniziativa politica: migliorare la condizione delle donne e degli uomini e del pianeta. Non è un caso che il comma due dell’articolo 3 della Costituzione ci indica un compito: rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’affermazione dei diritti individuali e collettivi della persona. La nostra crisi ha qui il suo motivo più macroscopico; nel passato troppe volte invece di rimuovere gli ostacoli, nel nostro agire concreto, abbiamo rimosso questo obiettivo. Al giusto e all’ingiusto abbiamo sostituito in maniera subalterna, il “vecchio” e il “nuovo” senza preoccuparci se anche negli effetti di quel “nuovo” ci fossero elementi di ingiustizia e di oppressione. Per questo non possiamo tornare indietro verso quella storia.

Perché ha deciso di sostenere Elly Schlein?
Perché con chiarezza ha fatto proprio questo obiettivo; ed anche per questo è importante che vinca. Con questa chiarezza di contenuti e prospettiva vanno costruite le alleanze, come condizione per prevalere sulla destra. E purtroppo è quello che oggi non capiscono né Conte, né Renzi, né Calenda. La ricerca dell’unità è indispensabile e per quanto mi riguarda l’ho sempre praticata con l’orgoglio della nostra forza e funzione. Quale subalternità? Quando abbiamo tenuto stretto anche il Movimento 5 Stelle in un rapporto unitario, complesso ma produttivo, il Pd è cresciuto e ha vinto: i nostri alleati hanno faticato e sono stati costretti a cambiare. Finito quel rapporto, in modo secondo me frettoloso, il M5Stelle ha aumentato i consensi e noi siamo entrati in crisi. Questi sono i fatti che troppi fanno finta di dimenticare. Anche in questo caso la riduzione di tutto tra un presunto “ vecchio “ e “nuovo “ è sbagliata. Ci sono scelte e politiche che fanno vincere le nostre idee e altre che le fanno perdere. Questa chiarezza ora e nel futuro è indispensabile.

La destra fa la destra: decreto rave, decreto anti-Ong, autonomia differenziata, giustizialismo a manetta. E la sinistra?
In Parlamento, malgrado numeri drammatici, grazie ai gruppi parlamentari si sta facendo una buona e credibile opposizione. E combatteremo anche per rimediare a qualche subalternità del passato come sull’autonomia differenziata, progetto che, da Presidente di Regione, non ho mai sottoscritto perché è sempre stato evidente che aumenta le disuguaglianze. Ora è evidente che occorre voltare pagina almeno su due aspetti. Forse Pietro Ingrao direbbe “indignarsi non basta”. Per essere efficaci dobbiamo essere in grado di cambiare i rapporti di forza nella società. Ci vuole maggiore coordinamento tra le forze di opposizione in Parlamento e bisogna fare presto nel ricostruire un rapporto con le persone e un nuovo radicamento sociale. Non basta solo parlare “di” lavoro, giovani, donne, impresa, cultura bisogna piuttosto coinvolgerli, loro e l’insieme dei possibili soggetti in grado di ricostruire un’alternativa fondata su una missione chiara: essere la forza italiana ed europea della giustizia sociale e ambientale. Tornare a ricostruire un moderno partito popolare al quale la Costituzione può riaffidare un compito importante: contribuire ad attuarla pienamente. Solo la chiarezza di questa missione può riaccendere una speranza soprattutto tra le ragazze e ragazzi che vedono il loro futuro ipotecato dall’egoismo di un modello di sviluppo che crea disuguaglianze e distrugge il pianeta.

È trascorso un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. E si fa sempre più concreto il rischio di una guerra infinita. L’Europa manda le armi. E la politica?
L’Europa difende un Paese che è stato aggredito e invaso. Io sostengo la scelta di offrire strumenti di difesa a chi aveva come unica alternativa la morte o la resa. Se siamo qui a parlare di pace necessaria e non prendere atto di una ennesima sconfitta del diritto internazionale è perché c’è stata una resistenza. Al tempo stesso è evidente che questo sostegno deve ora accompagnarsi anche con l’apertura di una fase nuova che veda la diplomazia più protagonista. Come non mai anche questa volta la via della pace deve essere preceduta da una fase di trattative e ricerca del dialogo. Si dirà ora è impossibile, io invece credo che proprio perché difficile è necessario.

Avatar photo

Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.