I candidati alla segreteria
Per Schlein il Pd va rifatto da capo, per Bonaccini va salvato
Il Nanni Moretti di Aprile non ha insegnato niente al Pd: “Non si può arrivare impreparati alla sconfitta. Se perdi, leggi una dichiarazione e ci metti la faccia”. E invece nel day after della sconfitta divampano le polemiche. E non basta essere andati meglio del M5S e del Terzo polo per tenere a bada gli animi dem. La sconfitta è difficile da gestire, soprattutto nel mezzo della fase congressuale più lunga di sempre. Sotto schiaffo nel tutti contro tutti finiscono la classe dirigente nazionale e quella locale, la sinistra del partito e l’ala riformista. Conseguenza inevitabile del congresso in corso e delle mille polemiche che nascono tra correnti lontane dall’essere disinnescate.
Tra i dirigenti che guardano a Stefano Bonaccini, ad esempio, si sottolinea che il partito ha sostanzialmente tenuto, migliorando di poco la performance delle politiche e facendo molto meglio degli alleati. “In questo quadro”, è il ragionamento condiviso, “Bonaccini può puntare sulla possibilità di ricostruire. In caso contrario, se ci fossimo trovati di fronte a una débacle, Elly Schlein avrebbe potuto premere sull’acceleratore e giocare la carta del rinnovamento totale del partito”. In questo quadro arrivano i dati dei congressi nei circoli Pd che assegnano a Bonaccini il 54,3 per cento delle preferenze contro il 33,7 per cento di Schlein. Un dato che fa dire a chi sostiene il governatore dell’Emilia-Romagna che “i nostri iscritti si sono pronunciati nettamente”.
Invece, Schlein attacca a testa bassa. Altro che ricostruire, occorre rinnovare dalle fondamenta: “Se ci rifugiamo nell’usato sicuro”, dice, “non andremo da nessuna parte. Il Pd deve cambiare tutto”, aggiunge, “ed essere un partito di sinistra”. Bonaccini le risponde a tono: “A sinistra ma non da soli, o non servirà a niente”. Gli replica Schlein: “Vanno cambiati tutti i dirigenti”, sottintendendo di essere il solo volto nuovo. Muro contro muro, Bonaccini: “Se non sei neanche iscritto al partito fai fatica a far parte di un gruppo dirigente”. Nel redde rationem la posizione di Nicola Zingaretti non contribuisce a fare chiarezza. L’ex segretario inchioda la dirigenza – di cui è stato un pilastro fino a due anni fa – a responsabilità esiziali. E indica in Elly Schlein la sola in grado di traghettare i dem al di là del guado e subito dopo se la prende con i Cinque Stelle, “che hanno sbagliato più di tutti”, malgrado sia l’alleanza con loro la quintessenza del progetto-Schlein. Il suo endorsement è a senso unico (“Serve uno choc, serve Elly Schlein. L’unica che può rispondere a una domanda di rinnovamento”) ma le soluzioni di Zingaretti rimangono aperte.
“Forse ci voleva questa sleppa. Quando lo dicevo io che serviva il campo largo mi dicevano che ero fissato”, aggiunge Zingaretti che spiega: “L’astensione ha colpito il centrosinistra: il nostro popolo non è andato a votare quando si è reso conto che non c’era una proposta di governo, che noi e il M5S andavamo divisi, ma uniti verso la sconfitta”. Anche se le responsabilità sono chiare: “Nessun dubbio su chi abbia sbagliato di più in questo frangente: Conte, senza dubbio. Pensava di poter far del male alla sinistra, ma alla fine non ha raccolto nemmeno il dieci per cento”. E sul futuro prossimo del Pd, con il congresso che si sta avviando alle battute finali, Zingaretti ribadisce il suo sostegno per Schlein, “senza ombra di dubbio. Ormai dobbiamo ricostruire. La sconfitta è alle spalle, occorre voltare pagina. E non pensare alla restaurazione”.
Gli occhi tornano su Bonaccini, chiamato in causa come ‘restauratore’. Ieri si è messo al telefono per capire se Gianni Cuperlo e Paola De Micheli faranno convergere su di lui i loro voti. Quelli dell’ex ministra dei Trasporti, stabile intorno al 5%, sono nel loro piccolo l’ago della bilancia che può cambiare gli equilibri in tre regioni e in venti provincie. Matteo Renzi nella sua E-news parla di risultato “peggiore delle aspettative ma fisiologico”. Sembra che qualcosa si sia però rotto nei rapporti con il leader di Azione che, dopo aver messo in discussione le scelte degli elettori – “decidono, ma non hanno sempre ragione, altrimenti non saremmo messi così” – fa il punto sul sistema delle alleanze messo in campo: “Avevamo preso il 10,5% alle politiche in Lombardia e abbiamo preso il 9,9% ieri. Siamo andati peggio nel Lazio dove eravamo in coalizione”.
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