Le elezioni regionali nel Lazio, il “caso Donzelli-Delmastro”, le scelte nel Pd per la corsa alla segreteria. Il Riformista ne discute con Roberto Morassut, parlamentare dem, un passato da amministratore del Comune di Roma, assessore all’Urbanistica e a Roma capitale nella giunta Veltroni.

Il 12 e 13 febbraio si vota in importanti regioni come la Lombardia e il Lazio. Quest’ultima, è una regione che lei conosce molto bene. Le divisioni nel centrosinistra hanno spianato la strada alla destra?
Conte ed il Movimento Cinque Stelle hanno compiuto una scelta incomprensibile. Motivata da illusorie ragioni di partito, per tentare un “sorpasso” nei confronti del Pd che non ci sarà. Nel Lazio vi era una collaborazione tra Cinque Stelle e Partito Democratico che poteva e doveva essere consolidata. La destra a Roma e nel Lazio continua ad essere una delle peggiori d’Italia. E’ evidente che senza quella decisione la chance di successo di una coalizione di centro-sinistra e Cinque Stelle sarebbero state assai maggiori. Comunque, la campagna elettorale è in corso e nonostante tutto Alessio D’Amato la sta conducendo con coraggio. Tra lui e Rocca c’è un divario di competenza e credibilità. Nel merito non c’è partita. I numeri sono difficili ma i conti li faremo alla fine.

Il “caso Donzelli-Delmastro”. Il Decreto migranti. Che destra è quella che oggi governa l’Italia?
Esprime quello che Gramsci chiamava “sovversivismo delle classi dirigenti”. La destra usa il potere per scardinare la Costituzione. Lo fa con il provvedimento sull’Autonomia differenziata, con il decreto sugli “sbarchi” che punisce le Ong mentre continua a rifiutarsi di affrontare la vera questione che riguarda le intese di Dublino e lo fa, come nella vicenda Donzelli, derogando a regole di comportamento fondamentali con l’uso pubblico di documenti riservati per utilizzarli contro l’opposizione. Donzelli e Delmastro Delle Vedove, in un paese normale, si sarebbero dovuti già dimettere ed il capo del Governo avrebbe dovuto chiederglielo subito. Invece sono stati sostanzialmente difesi e giustificati. È inaccettabile. Ma la questione non finirà qui, visto che è in corso una indagine della magistratura.

Titola questo giornale: “La rissa è su Donzelli. Ma del 41-bis non frega niente a nessuno”. Il riferimento è alla sospensione del 41-bis per Alfredo Cospito in modo da evitare la sua morte. A lei la parola.
Io non sono d’accordo con la sospensione del 41 bis nemmeno per Cospito, tanto meno per chi si è macchiato di un reato per mafia. La visita dei nostri parlamentari era finalizzata all’accertamento delle condizioni di salute di un detenuto da oltre un mese in sciopero della fame e rientrava perfettamente nelle prerogative di un parlamentare della Repubblica. Nessuno ha chiesto di sollevarlo dal regime carcerario del 41 bis. Se poi si parla di ergastolo ostativo la nostra posizione è chiara da tempo e si basa sulla considerazione accorta delle indicazioni della Consulta, valutando condizioni assolutamente eccezionali e estremamente selettive. Il Pd ha una storia di lotta alla mafia e al terrorismo che nessuno può permettersi di mettere in discussione, tanto meno chi certi legami con l’eversione nera legata alla mafia non li ha mai del tutto recisi. E a Roma vi è una storia recente che lo racconta.

Lo scontro parlamentare e il dibattito “costituente” del Pd. Lei vede un nesso?
La nostra forza nella società italiana, ai fini di una “costituente” di un soggetto politico più aperto, passa anche da una condotta parlamentare rigorosa e che sappia mettersi in connessione con le domande ed i bisogni che attraversano la società e vogliono rappresentanza. Quindi, dai temi del lavoro, a quelli della transizione ecologica, a quelli dei diritti civili, a quelli della pace nel quadro di una Europa più forte e coesa, alle battaglie per i diritti delle donne, alla salvaguardia dell’unità nazionale e di un giusto regionalismo che non punisca il Mezzogiorno, il nostro lavoro in Parlamento dovrà essere in grado di dare voce a queste istanze, comunque si concluda il Congresso. Un Congresso che deve aprire la Costituente e non chiuderla.

A contendersi la leadership del Pd sono in quattro. Qual è la sua scelta e perché?
Ho scelto di sostenere fin da subito la candidatura di Elly Schlein perché il Pd ha da tempo bisogno di una rivoluzione interna. Una “rivoluzione del sorriso” che non cerchi nemici ma sia determinata al cambiamento. Senza nulla togliere agli altri candidati penso che in campo vi sia una istanza rivoluzionaria che raccoglie la spinta di tanti giovani e giovanissimi e di tanti militanti e cittadini di sinistra e democratici liberi che si sono allontanati e che arrivano dal corpo della società. Dall’altra parte c’è una proposta più “convenzionale” di realtà e istanze istituzionali che si muove per “aggiustare” quel che siamo. Ma noi dobbiamo cambiare radicalmente e non aggiustare. Elly Schlein incarna questa spinta e questa esigenza. Serve un nuovo ciclo del cammino dei Democratici ed il profilo di questa nuova storia non ce lo scegliamo a tavolino ma si muove sulla spinta delle persone reali. Delle ragazze e dei ragazzi che oggi chiedono un luogo di combattimento. Dal 2008 molto è cambiato. Le radici del Pd del Lingotto vanno rinvigorite e riaffermate con nuova linfa vitale che proviene dalle emergenze e dai bisogni di oggi. La candidatura di Elly Schlein non è solo alternativa a quella di Bonaccini ma è la candidatura giusta per raccogliere le spinte che stanno maturando sotto la pelle della società italiana contro la destra e la sua arroganza. Lei è l’alternativa giusta e reale alla Meloni più ancora che a Bonaccini.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.