La candidata alla segreteria dopo le Regionali in Lazio e Lombardia
Pd da rifare, la ricetta Schlein: “Serve svolta netta non un fotoritocco, battiamoci per gli ultimi”
Per Elly Schlein, se le elezioni regionali il Lazio e Lombardia sono state delle sconfitte senza appello per il centrosinistra è per “chi per anni ha inseguito il centro, senza accorgersi che si stava perdendo la sinistra, un intero blocco sociale che ha preferito astenersi anziché votare Pd. Penso che mai come adesso serva una svolta netta: per rinascere, per risalire bisogna avere più coraggio. Non è tempo di un fotoritocco, di ordinaria amministrazione. Se ci rifugiamo nell’usato sicuro non andremo da nessuna parte. Il Pd deve cambiare tutto ed essere un partito di sinistra che rappresenta chi non ce la fa. Sono rientrata per questo”.
Così la candidata alla segreteria del Pd in un’intervista a Repubblica. L’appuntamento per le primarie è per il 26 febbraio: con Schlein candidati Stefano Bonaccini, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo. “Tra gli sfidanti alla leadership solo io non ho fatto parte del gruppo dirigente del Pd negli ultimi dieci anni, durante i quali si è rotto il rapporto con i nostri mondi di riferimento, che bisogna assolutamente ricucire. È necessario anche per combattere la disaffezione al voto – il confronto con la tornata precedente è devastante – che è una ferita per la democrazia”, continua Schlein dietro di 20 punti a Bonaccini nei circoli.
La corsa si annuncia come un testa a testa tra i due. Schlein punta a mobilitare gli elettori ai gazebo, i simpatizzanti non tesserati. Parla di “alternativa possibile” più che di “somme algebriche”. Di una sinistra che deve tornare a fare la sinistra: “Mancanza di coraggio, di chiarezza, ma anche di coerenza. È tempo di cambiare davvero. L’agenda deve ripartire dalla lotta alle diseguaglianze. I volti non possono essere sempre gli stessi. La selezione della classe dirigente deve aprire un varco, riconnetterci con chi non si mobilità più. Insomma serve una cesura decisa rispetto al passato. C’è ad esempio chi pensa che il Pd sia ancora quello del Jobs Act. Bisogna dire basta: noi ci batteremo per limitare i contratti a termine. Per non rifinanziare la guardia costiera libica. E per approvare Ius soli e legge Zan. Altrimenti si fa fatica a ricostruire credibilità, soprattutto fra i giovani e le donne che sono rimasti schiacciati nel partito, non solo nella società”.
I temi: salario minimo, congedo paritario, lotta al cambiamento climatico, sanità e istruzione pubblica. “L’alleanza che si è spezzata non è nel ceto politico, fra i partiti che si dicono progressisti, ma ripeto: con i nostri mondi di riferimento. Lavoro, scuola, Terzo settore. Il dato dell’astensionismo è quello che fa più male e quando ci guarderemo dentro credo si confermerà quanto già visto a settembre: sono le fasce impoverite a disertare le urne, quelle che non si sentono più rappresentate. Per questo abbiamo bisogno di risvegliare la partecipazione, di una grande mobilitazione collettiva”.
Pur perdendo il Pd ha relativamente tenuto nelle elezioni dello scorso fine settimana: in Lombardia al 21% e nel Lazio al 20,3%, nel primo caso in linea e nel secondo in crescita rispetto alle politiche dello scorso settembre. Secondo l’ultimo sondaggio SWG per La7 diffuso ieri, il Pd è al 15,1% negli orientamenti di voto, in crescita dello 0,3% rispetto al 6 febbraio. “Serve restituire fiducia a chi non riconosce il Pd come un partito che si batte per gli ultimi ma pensa sia quello dei colletti bianchi”.
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