I dem alle regionali
“Il Pd c’è e dà fastidio al centrodestra”, intervista a Nadia Urbinati
Un consiglio al Pd? Pratichi bene l’opposizione. E ai due maggiori contendenti alla segreteria? C’è bisogno di un partito organizzato e non di un partito del leader. A dispensare i consigli è Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York.
La destra vince nel Lazio con Rocca e si conferma in Lombardia con Fontana. Professoressa Urbinati è cronaca di una vittoria annunciata?
Diciamo che è l’effetto trainante del governo Meloni. Che ha portato alla vittoria di due governi regionali pessimi, uno riconfermato e l’altro a venire. Il voto in Lombardia e nel Lazio dà conto del clima politico che si vive oggi in Italia. Ed è un’onda che non si arresterà a breve.
I due candidati della coalizione di destra vincono in un oceano di astensioni.
In elezioni regionali precedenti si era avuto soltanto un caso di radicale astensionismo, con il 37% dei votanti: primo governo Bonaccini in Emilia-Romagna. Ma quella fu una scelta politica a quel tipo di amministrazione che stava nascendo. Io non sono una sondaggista, credo però che i nostri studiosi invece di ripetere quello che è lapalissiano, i poveri che non vanno a votare etc., dovrebbero cercare di capire perché non vanno a votare. L’impressione non è sufficiente. Da fuori si percepisce che molti ritengono che non hanno potere andando a votare, che non cambierebbero nulla. E danno il potere a chi il potere ce l’ha già. È ovvio però che gli astenuti devono interessare. Soprattutto a chi perde. Chi vince se ne può disinteressare. Quando vinse Bonaccini c’è chi disse che non interessava quanti andavano a votare, l’importante era il risultato. Chi va a votare vince e decide, non viola la democrazia. Verissimo. Ma questo discorso può valere per chi vince. Chi perde dovrebbe pensare a quella prateria di voti possibili che sono congelati. E muoverli dalla propria parte.
A proposito di chi perde. Enrico Letta ha postato a caldo, subito dopo la certezza della sconfitta del Pd in Lombardia e nel Lazio: “Pd prima forza di opposizione. L’Opa contro di noi ha fatto male a chi l’ha tentata”. Non le pare una lettura autoconsolatoria?
Chi ha perso non ha perso allo stesso modo. A perdere molto sono quelle forze “egocentriche” che spesso non hanno un partito ma un leader visibile e alcuni parlamentari. I 5Stelle di Conte e il centro di Calenda e Renzi hanno mostrato, con la batosta elettorale subita, che dietro questi ego c’è poco. E hanno perso molto rispetto a quanto si aspettavano. Va ricordato che i sondaggi davano il Pd sotto i 5Stelle e il centro lombardo al 17%. Nello scenario degli sconfitti chi ne è venuto fuori meglio è proprio il Pd, dimostrando alcune cose che si spera i futuri leader, uomini o donne, sappiano capire e far fruttare al meglio.
A cosa si riferisce?
Le regionali hanno dimostrato più cose importanti per il Partito Democratico. La prima delle quali, è che il Pd ha una forza solida di consensi. Anche se chi lo vota spesso lo fa mugugnando. C’è una base che pochi partiti hanno stabilmente nel tempo. È un tesoretto di valore da cui partire. Ma per farlo fruttare, questo tesoretto, è necessario non dar luce a queste “luminarie spente” che sono gli egocentrici, ma rafforzare se stessi e poi eventualmente decidere che cosa fare. Quando si è stabilmente più forti, i rapporti con gli altri diventano più facili da fare e giustificare. Queste elezioni, altra cosa importante, ci dicono che non è stata sbagliata la scelta di Letta di un “congresso lungo”. So che in molti, dentro e fuori il Pd, l’hanno criticato per questo, ma io non sono di questo avviso.
Perché?
Lo dico a ragion veduta, per esperienza diretta. È la prima volta che partecipo direttamente, sia pure a distanza, alle discussioni congressuali nei circoli. Questo “lungo congresso” ha ravvivato moltissimo il discorso politico tra i cittadini. Ha fatto ritornare la voglia del collettivo, di parlare, di discutere di politica, di sentire che c’è forza nella politica fatta dai cittadini. Non è soltanto il voto. E questa considerazione mi porta a rivolgere un accorato appello a chi sarà chiamato o chiamata a guidare il Partito Democratico.
Qual è questo appello accorato?
Non pensate che il Pd ce la fa se fa giochetti tattici con questo o quello, o se fa il partito degli eletti e degli amministratori. Gli establishment hanno già la loro forza, non è che il Pd aumenta i voti accreditandosi come il partito di chi sta nelle istituzioni. In questo modo, i voti li perde. Li può conquistare se gli eletti dimostrano di saper tornare nella società. Avvicinarsi alla società che oggi è lontanissima, come dimostra l’enorme astensione. E lo si può fare, lo si è visto in queste poche settimane, con questa attività politica intensa.
A proposito dei due maggiori contendenti alla segreteria. Commentando a caldo l’esito delle regionali, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein hanno convenuto sulla sconfitta del Pd affermando che è tempo di cambiare dirigenti. Ma basta questo per invertire la rotta?
Suggerirei ai due di leggere bene queste elezioni. Perché queste elezioni penalizzano proprio coloro che hanno soltanto ego, cioè quei due movimenti di cui ho parlato in precedenza: il sinistrismo di Conte, tutta apparenza, da un lato e un centrismo che è capace di riverniciare la destra al centro e tuttavia perde e pure molto. Non è vero che basta avere un leader. Occorre che questo o questa leader faccia il lavoro di andare laddove c’è più possibilità di accrescere il consenso al partito, cioè dove non si vota più, dove non si parla più di politica. È lì che c’è il bacino naturale. Serve un partito. Non semplicemente un segretario. Il segretario è importante, ma se poi è importante per sé siamo punto e a capo. Queste elezioni dimostrano che il Pd c’è e che può crescere a queste condizioni e non se diventa come i suoi due competitori perdenti. “Vino schietto” e non annacquato. Non soltanto gli eletti, non soltanto gli amministratori, pur importanti, ma riportare partecipazione e movimento, insieme all’opposizione. Questo è fondamentale.
A questa destra identitaria che da più di cento giorni governa l’Italia, la sinistra ha saputo contrapporre un’opposizione all’altezza della sfida?
È difficile cercare il modo migliore, più incisivo, di essere e fare opposizione. Però dalle reazioni tremende, scomposte, della maggioranza e dei suoi aedi mediatici nel caso dell’anarchico Cospito al 41-bis, si è visto qual è l’opposizione che più dà fastidio al governo. Non è né Conte né il centro, grande o piccolo, di Calenda e Renzi, ma è il Pd. Che è strutturalmente il partito di opposizione. Se riuscisse a capire questo, il Pd, si porterebbe molto avanti col lavoro. In questi anni sarà così. Faccia bene l’opposizione perché sarà il modo per potere avere una speranza di sconfiggere poi la destra fra cinque anni. L’opposizione deve saperla fare. E avere chiara l’identità di questa maggioranza. Che lo ha riconosciuto attaccandolo in quel modo subdolo e vergognoso, dando al Pd del terrorista, amico dei capi mafiosi. Lì sta l’opposizione più fastidiosa per il governo. E lì che deve nascere una opposizione forte, credibile e organizzata.
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