Non so se Gladstone abbia mai pronunciato la frase secondo cui il Regno di Napoli, o le sue carceri, erano la “negazione di Dio eretta a sistema di governo”. Sicuramente però l’espressione si attaglierebbe al sistema di governo della Città Metropolitana. Un miscuglio di irrazionalità a cui si aggiunge la peggiore prova offerta dal ceto politico locale. La Città metropolitana ha funzioni importantissime e meriterebbe un sistema di governo alla sua altezza. Il suo presidente – che è di diritto il sindaco di Napoli – non viene scelto da due terzi delle persone soggette al suo potere, ovvero i due milioni di cittadini degli altri comuni della ex provincia.

Non bastasse, i consiglieri metropolitani non sono eletti direttamente, quindi dei tre milioni di abitanti meno di uno scelgono il solo Sindaco metropolitano (scegliendo il sindaco di Napoli, cioè senza un dibattito ad hoc). Tutti e tre i milioni di abitanti si vedono assegnati i consiglieri metropolitani scelti secondo un sistema che porta ad individuarli in forma di cooptazione tra pari, cioè tra i 1543 sindaci e consiglieri dei comuni della Città metropolitana, però con un sistema dove i comuni vengono distribuiti per peso in sette fasce in ragione della popolazione, a cui si aggiunge il capoluogo: quindi uno non vale uno. Ma il peggio è che non esiste dibattito su ciò che fa l’ente, e tutto si risolve in posizioni di spezzoni di ceto politico, che non ne risponderanno mai a nessuno. Si voterà il 13 marzo e da poche ore sono state consegnate le liste.

Per dare un’idea: soltanto Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega (nonchè la neonata Azione) presentano una lista propria, mentre tutti gli altri soggetti politici scelgono la via del civismo, che ormai vuol dire trasformismo e camaleontismo. Ancora: i principali candidati a sindaco delle scorse elezioni, Catello Maresca e Gaetano Manfredi, faranno ciascuno una lista da soli, prendendo l’uno pezzi da sinistra, l’altro da destra. Nè Partito democraticoCinque Stelle presenteranno d’altro canto il simbolo, e comunque sono attraversati da aspri contrasti correntizi. Il primo tra i tre gruppi facenti riferimento rispettivamente a Topo, Casillo e al sodalizio politico Fiola-Manfredi (Massimiliano). I Cinque Stelle sono reduci da una aspra contesa tra esponenti riferibili a Fico da un lato e a Di Maio dall’altro. De Luca è piuttosto defilato e ha rinunciato ad una propria lista, confluendo in quella riferibile al Pd, mentre il sindaco Manfredi gioca – a sorpresa, ma non tanto, considerando il grande peso numerico che è destinato ad avere in una simile elezione – una partita sua dai contorni ancora nebulosi (per dire, nella sua lista figurano politici vicini ai Cesaro). Per completezza aggiungiamo che Bassolino, forte dell’appoggio del sindaco di Bacoli Della Ragione e di Caivano Falco, farà fronte comune con DemA, che però non è più riferibile a de Magistris, e che per Italia Viva è liberi tutti, ognuno andrà per la propria strada.

Inutile inseguire i riposizionamenti più nel dettaglio, perchè già così viene il mal di testa. Si potrebbe parlare ormai apertamente di consorterie o di camarille. Una politica sempre più notabilare ma senza notabili, dove partiti e ancor più idee e visioni c’entrano poco o nulla.
Cosa c’è infatti di politico in tutto questo? Nulla, se la politica è idee, programmi e visioni. A chi serve un livello di governo eletto in questo modo, che favorisce certe degenerazioni, e senza alcun dibattito di merito? Non certo a Napoli e ai suoi enormi problemi. Purtroppo la città metropolitana soffre di errori e incompiutezza che ne fanno un ente da riformare in profondità. Ciò è vero dovunque, altrove si è già votato e non son certo rose e fiori. Ma il resto è messo dalle dinamiche politiche campane, orami fuori controllo e che hanno portato anche due rinvii della data dell’elezione.