Coronavirus: questa volta non c’erano le telecamere. Neppure il sorridente Ministro della salute Roberto Speranza ora costretto dagli eventi ad emanare una severa ordinanza. È il comunicato stampa numero 85 del Ministero della Salute che tristemente viene diffuso nel primo pomeriggio. Eccolo, tanto sintetico quanto tardivo: «A seguito della riunione mattutina del comitato tecnico scientifico che ha approfondito le segnalazioni di nuovi casi di coronavirus Covid-19, il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha provveduto ad emanare una nuova ordinanza. Essa prevede misure di isolamento quarantenario obbligatorio per i contatti stretti con un caso risultato positivo. Dispone la sorveglianza attiva con permanenza domiciliare fiduciaria per chi è stato nelle aree a rischio negli ultimi 14 giorni con obbligo di segnalazione da parte del soggetto interessato alle autorità sanitarie locali».

Ma quali sono le zone a rischio se il Coronavirus ha già raggiunto celermente alcuni Paesi del globo? Solo la Cina e solo la Regione dell’Hubei sono aree a rischio? Il Riformista aveva già più volte evidenziato come fosse stato opportuno dimostrare una maggiore sensibilità e severità nell’affrontare il Coronavirus suggerendo maggiori iniziative precauzionali. Ed ecco la realtà: questa volta nessuna diretta per inquadrare i volti di chi, giunto a Roma con volo militare, aveva lasciato la Cina sapendo che avrebbe trascorso con i compagni di viaggio l’avventura della quarantena. Gli eventi di queste ultime ore non mostrano volti, né trasudano ottimismo. La cronaca è nota, l’abbiamo letta tutti: 14 casi di Coronavirus sono stati confermati in Lombardia, nel lodigiano, e 2 in Veneto, nel  padovano (ma potrebbero aumentare mentre scriviamo).

Due i compiti che ora spettano agli addetti ai lavori: le strutture sanitarie devono prendersi cura dei malati, salvarli dal morbo Made in China. Un compito non facile, non solo di buon uso della medicina, ma anche dell’organizzazione che comporta l’isolamento dell’ammorbato fortemente contagioso all’interno di una struttura. Impedire la contaminazione. E questo è il punto: impedire la trasmissione del virus. Quindi, e questo è l’altro punto, ricostruire gli spostamenti, i contatti dell’infettato, impedire “l’effetto domino”, cercare con pazienza i “contati stretti”. Il termine non è bello, ma zone andranno “cordonate”, altre disinfettate e altre ancora evacuate.

Fino a quando non sarà trovato un antidoto, l’unica soluzione per evitare la propagazione è l’isolamento: la storia insegna. Riguardo i recenti trascorsi delle persone che nel lodigiano sono risultate positive al test del Coronavirus bisogna incominciare a porsi velocemente delle domande: per gli spostamenti utilizzavano mezzi privati o pubblici? Frequentavano locali affollati? Dove svolgevano il loro lavoro? Più semplicemente o brutalmente, essendo un virus che si diffonde per via aerea: hanno frequentato e starnutito in metropolitana? Siamo in Lombardia, in quella parte della produttiva regione che confina a sud con l’Emilia-Romagna, tutti i paesi interessati dal contagio si trovano nella provincia di Lodi: Casalpusterlengo, Castiglione D’Adda e Codogno, complessivamente l’area è abitata da circa trentaseimila persone.

È a Codogno che un dipendente della Unilever (la grande multinazionale olandese-britannica che produce detersivi, dadi da brodo e gelati) martedì  pomeriggio si è recato al pronto soccorso del locale ospedale lamentando forte influenza, non è ancora chiaro se volontariamente o perché giudicato non pericoloso in quanto non aveva avuto recenti contatti con persone provenienti dalla Cina, è tornato a casa senza essere stato posto al test per accertare se avesse contratto il Coronavirus. Il dipendente dell’Unilever, evidentemente stremato, si è nuovamente presentato giovedì sera allo stesso ospedale dove, questa volta, è stato ricoverato in terapia intensiva.

La moglie (incinta) è ora ricoverata al Sacco di Milano, un amico di calcetto ed altre tre persone da giovedì notte all’ospedale di Codogno. Si tratterebbe di tre anziani che frequentano lo stesso bar del compagno di calcetto del 38enne. Positivi anche cinque operatori sanitari dell’ospedale di Codogno e tre pazienti. Ora la caccia è quella al “paziente zero”, colui che, presumibilmente, ha avuto rapporti con persone provenienti dalla Cina, colui che sta in cima alla piramide.

Ha ragione l’immunologo Roberto Burioni che perentoriamente ha affermato ciò che da tempo sostiene: «Le ultime notizie mi portano a ripetere per l’ennesima volta l’unica cosa importante. Chi torna dalla Cina deve stare in quarantena. Senza eccezioni». Adesso è “caccia all’untore”: niente panico, ma dobbiamo imparare a convivere con il timore? La Cina è la protagonista di questi che, ottimisticamente, consideriamo gli epiloghi della tragica vicenda del Coronavirus.

Deborah Bergamini, Antonio Selvatici

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