L’esame di lingua italiana, necessario per ottenere la nostra cittadinanza, è spesso l’ultima stazione di un lungo viaggio intrapreso dagli immigrati nella speranza di trovare un lavoro. Ricordo quando accompagnai un mio ex alunno africano alla cerimonia per il conferimento dell’agognato titolo all’anagrafe di Roma: quando scherzando la delegata del sindaco scambiò qualche battuta con lui, ci guardammo soddisfatti, sapendo l’immane fatica che c’era dietro. Se l’uso dei tempi verbali restava incerto e la pronuncia ancora traballante, mi sentivo responsabile anch’io, dal momento che, insieme ai miei colleghi, gli avevo insegnato a leggere e scrivere. Si era presentato in aula, tanto tempo prima, già adolescente, reduce dalla traversata del Mediterraneo, analfabeta nella lingua madre, nel senso che non aveva mai tenuto una penna in mano. La scuola non sapeva nemmeno cosa fosse. E adesso, in giacca e cravatta, giurava sulla Costituzione.

Quanta fatica c’era voluta! Anni di studio. Fogli di quaderno strappati e appallottolati, gettati nel cestino dopo uno scatto di rabbia. Frasi scritte e riscritte cento volte prima di raggiungere una grafia accettabile. All’inizio mettevo la mia mano sulla sua per fare in modo che rispettasse la riga, come si usa coi bambini. Sento ancora le dita magre e nervose muoversi agili sotto le mie, come animaletti irrequieti: emozioni indelebili. Oggi è padre di due figli e fa i cappuccini in un bar della capitale. Un grande. Per Luis Suarez, attaccante uruguagio in forza al Barcellona, è stato tutto più semplice. L’obiettivo era quello di strappare il passaporto comunitario grazie alla moglie di origine italiana, in vista del possibile acquisto da parte della Juventus. Poco importa che l’affare poi non sia andato a buon fine. Il Pistolero, questo il suo soprannome, atterrato a Perugia con un volo privato, pare che abbia sostenuto un esame farsa. I magistrati valuteranno anche in base alle intercettazioni scoperte. Gli inquirenti sostengono che la sessione straordinaria dell’esame «veniva istituita ad hoc unicamente per consentire il rilascio di una falsa attestazione di conoscenza della lingua italiana a livello B1».

Vedremo cosa accadrà. Ma il punto è un altro. Tutti si sono congratulati col campione facendogli i complimenti e tributandogli elogi. Lui è ripartito contento, sicuro di aver ottenuto il certificato richiesto. Uno che guadagna svariati milioni di euro all’anno, per quanto sia di origine umile, fa presto a dimenticare gli applausi, in quanto vive in un mondo artificiale, come chi orbita nel fantastico universo del calcio: una sorta di rollerball televisivo. Per questo ormai non vado più allo stadio. Chi invece sbarca nel nostro Paese dopo aver superato il deserto, scavalcato i confini, evitato gli spari delle guardie doganali, riuscendo a sopravvivere in condizioni estreme, certe cose non se le dimentica più. Finché non troverà una lingua capace di esprimerle, resterà sempre un invalido spirituale. Ecco perché un episodio come quello che ha coinvolto Luis Suarez è devastante: lasciamo stare le reazioni di noi adulti. Siamo troppo disincantati per riuscire a stupirci.

Agli occhi di un ragazzo invece il caso assume un significato molto più grave: tanti sedicenni oggi non seguono la politica, se gli chiedi com’è andato il recente referendum ti guardano storto, in compenso sanno tutto del calciomercato. Potrebbero spiegarti per filo e per segno come si smarca in area il Pistolero, alcuni di loro si ricordano persino il morso che diede a Chiellini ai Mondiali del 2014 in Brasile, quando erano ancora bambini. Ecco perché la passarella posta come se niente fosse sotto ai piedi del famoso attaccante, in modo da farlo transitare senza problemi verso il nostro campionato, avvelena i pozzi nella coscienza dei più giovani. Butta giù, in un colpo solo, tutto il lavoro educativo. Lo fa in modo impercettibile. Prima ci dite che la legge dev’essere uguale per tutti, poi agite in senso contrario. E ve ne vantate pure.