5. Non è vero che le indagini sulla responsabilità penale della fuga di notizie sono estremamente difficili. In realtà le indagini non sortiscono alcun esito perché a prescindere dalla possibilità riconosciuta al giornalista di avvalersi della facoltà di non rilevare la fonte: – esiste uno stretto collegamento tra giornalisti ed inquirenti, in virtù del quale a pubblicare gli atti sono sempre quei giornalisti con i quali gli inquirenti stessi hanno instaurato un rapporto fiduciario e che comunque vengono ritenuti affidabili dal punto di vista della credibilità personale e della testata che rappresentano; – nella normalità dei casi, gli accertamenti vengono svolti dalla stessa Procura della Repubblica presso cui si è verificata la fuga di notizie, con il paradossale effetto per cui i pubblici ministeri sono chiamati ad indagare su loro stessi o peggio ancora sugli ufficiali di polizia giudiziaria a con i quali normalmente lavorano, salvi i casi in cui non scatta la competenza prevista dall’art. 11 del codice di procedura penale. Sul punto, il dott. Gratteri, in una recente intervista al quotidiano La Verità, afferma con molto coraggio che: «ci sono troppi mostri sbattuti in prima pagina per un cattivo rapporto tra magistrati e giornalisti. Abbiamo bisogno di giornalisti che raccontano il lavoro del magistrato, perché la criminalità si combatte anche informando con onestà l’opinione pubblica in modo che si rafforzi una coscienza civile. Ma i giornalisti non devono fare i piacioni vantando rapporti privilegiati con questa o quella toga, non devono innamorarsi dei pubblici ministeri: il giornalismo che fa il copia e incolla delle ordinanze della magistratura, passando le ore nelle sale di attesa, rende un pessimo servizio alle due professioni e al paese nel suo complesso». È bene precisare che il giornalista che riceve e pubblica una notizia riservata non fa altro che esercitare il suo mestiere, come affermato nel giugno del 2007 dalla Corte dei diritti dell’uomo, nel caso Dupuis, che ha definito la stampa il cane da guardia della democrazia. Ciò anche in considerazione del fatto che il reato di rivelazione di segreto di ufficio è un reato del pubblico uffi ciale e il giornalista ne risponde solamente, in concorso, se ha istigato o determinato lo stesso pubblico ufficiale a commetterlo.

6. A prescindere dalla specifica individuazione della responsabilità penale, deve però osservarsi che nella materia in questione il nostro ordinamento prevede a carico del Procuratore della Repubblica una serie di obblighi derivanti: – dall’art. 111 della Costituzione che stabilisce che nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia nel più breve tempo possibile informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; – dall’art. l, secondo comma, del d.lvo 106/06 a mente del quale il procuratore della Repubblica è tenuto ad assicurare il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale, nonché il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo uffi cio; – dall’art. 89 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, norma introdotta dalla riforma Orlando per disciplinare la segretezza delle intercettazioni, la cui entrata in vigore originariamente prevista per il 1° gennaio 2020 è subordinata all’accordo tra il PD ed il M5S, che stabilisce: «l’archivio è gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore della Repubblica, con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione custodita. Il procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito». Si tratta di norme che introducono un principio di carattere generale, attribuendo la titolarità della gestione degli atti e delle notizie riservate al procuratore della Repubblica e la cui inosservanza da parte di quest’ultimo può essere fonte di una diversa forma di responsabilità sotto il profi lo civile, disciplinare e amministrativo. Profilo quest’ultimo rimesso alla valutazione del Consiglio Superiore della Magistratura a cui spetta il compito, attraverso l’attività della prima e della quinta commissione, di verificare se l’osservanza di tali obblighi sia stata effettivamente rispettata da parte del dirigente dell’ufficio.