«Quelle parole di plauso per l’opera di salvataggio in mare, pronunciate dal presidente Draghi nella sua missione a Tripoli, sono preoccupanti e rischiano di pregiudicare anche i rapporti con la nuova Libia di cui lo stesso Draghi ha parlato». Ad affermarlo è Luigi Manconi, sociologo, editorialista de La Stampa e La Repubblica, presidente di “A Buon Diritto Onlus”, responsabile del Comitato per il diritto al soccorso, del quale fanno parte, tra gli altri, Luigi Ferrajoli, Armando Spataro, Vladimiro Zagrebelski, Sandro Veronesi, il contrammiraglio Vittorio Alessandro. Saggista, tra gli altri libri scritti da Manconi ricordiamo Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli Italiani e gli immigrati, con Valentina Brinis, (Il Saggiatore, 2013); Abolire il carcere. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini, con Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta (Chiarelettere 2015); La pena e i diritti. Il carcere nella crisi italiana, con Giovanni Torrente (Carocci, 2015); Corpo e anima. Se vi viene voglia di fare politica (Minimumfax 2016); Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura, con Federica Resta (Feltrinelli, 2017).

Commentando a caldo le affermazioni del presidente Draghi A Buon Diritto ha twittato: «In Libia i migranti vengono detenuti in condizioni disumane e sottoposti a torture. Le persone intercettate in mare riportate nell’orrore. Ogni diritto fondamentale viene violato. Di grazia, presidente Draghi, per quale di queste cose c’è da essere soddisfatti?»

«Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia. Ma il problema non è solo geopolitico, è anche umanitario e in questo senso l’Italia è uno dei pochi Paesi che tiene attivi i corridoi umanitari». Parole del presidente del Consiglio Mario Draghi nella sua prima missione da premier all’estero, a Tripoli.
Provo simpatia per Mario Draghi e penso che il suo governo rappresenti un possibile passo avanti. Apprezzo inoltre alcuni ministri, per esempio il titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti Enrico Giovannini. Tuttavia le parole di Mario Draghi mi hanno davvero sconcertato e penso che possano essere da ostacolo allo sviluppo stesso di quei rapporti con la “nuova Libia” di cui lo stesso Draghi ha parlato.

Come spiega questa uscita del presidente del Consiglio?
Tendo ad attribuire quelle parole a una particolare e non rara disinformazione, propria di personalità, anche di notevolissima competenza ma non al corrente di questioni pure cruciali. Mi viene in mente un episodio del passato, una testimonianza personale: poco prima che venisse nominato presidente della Bce, ebbi una lunga telefonata con lui, quando era ancora Direttore generale della Banca d’Italia, perché aveva richiamato dei numeri molto interessanti a proposito del ruolo economico dell’immigrazione straniera in Italia. Le parole pronunciate nel corso della sua visita in Libia rischiano di costituire un precedente molto grave. Quelli che chiama i salvataggi fatti dalla Libia nel mare Mediterraneo, sono considerate da tutti, sottolineo tutti, gli organismi internazionali, da tutte le agenzie indipendenti, tutte le associazioni per la tutela dei diritti umani. Le Nazioni Unite, la Corte europea dei diritti umani, l’Acnur, l’Oim… azioni contrarie alla tutela dei diritti fondamentali della persona, che hanno come effetto quello di riportare quanti vengono fermati dalla cosiddetta Guardia costiera libica nei centri di detenzione. I quali centri, secondo lo stesso lungo elenco di organismi prima citati, sono considerati, sia quelli cosiddetti legali sia quelli cosiddetti illegali, come altrettanti luoghi di sistematica negazione dei diritti fondamentali della persona, di sistematico esercizio di trattamenti inumani e degradanti, di assai frequente ricorso a sevizie, torture e stupri. Questo è il quadro documentato ormai da molti anni del ruolo di “salvataggio” esercitato dagli apparati del regime libico; apparati, oltretutto, costituiti in parte significativa dagli uomini delle milizie. Quelle stesse milizie sostenute peraltro, di volta in volta, da appartenenti a forze militari di Paesi stranieri, in ultimo da militari turchi, di cui è stata documentata la presenza sulle motovedette. In un quadro dove sia la Guardia costiera sia la zona Sar, sono l’esito più di una imposizione da parte della stessa Libia che di un provvedimento riconosciuto dagli altri Stati e dall’Unione europea.

Cambiano i governi e variano le maggioranze, ma una cosa sembra in continuum, e cioè la “guerra” ai testimoni scomodi: prima le Ong che operavano nel Mediterraneo e adesso i giornalisti intercettati. Che significa questo per un Paese come l’Italia che si ritiene uno Stato di diritto?
Se si ascoltasse e si documentasse la situazione senza pregiudizi, si scoprirebbe che le Ong del soccorso in mare sono presenti nel Mediterraneo esattamente a partire da quando s’interrompe la missione ”Mare nostrum”. E d’allora, le Ong lanciano un messaggio inequivocabile…

Qual è questo messaggio?
Siamo qui per stato di necessità. Ci auguriamo di non doverci essere più. Ci auguriamo di risultare superflui, perché il lavoro che noi svolgiamo deve essere svolto dagli Stati costieri, così come prevede il diritto internazionale. In altre parole, vorremmo essere superflui, perché quel compito, sacrosanto e irrinunciabile che è il soccorso in mare, dovrebbe essere svolto da chi ha il dovere di esercitarlo. Invece di sostituire le Ong, gli Stati rivieraschi, e la stessa struttura Frontex, operano per delegittimare le Ong, per scoraggiarle, per bloccarne l’attività. Operano, come è successo in Italia attraverso i decreti Salvini, per penalizzare il diritto al soccorso, per sanzionarlo affinché vi sia limitata e tendenzialmente impedita l’applicazione. Questa è la realtà. Io ricordo che l’ammiraglio Marzano, comandante della Guardia costiera prima che iniziasse, nel 2017, questa opera di penalizzazione, diffamazione, stigmatizzazione, alla lettera scriveva che la cooperazione tra le Ong e la Guardia costiera italiana funzionava perfettamente e questa cooperazione si esercitava sul 94% delle operazioni di salvataggio. E con parole altrettanto chiare, l’ammiraglio Marzano sosteneva che le Ong non funzionavano in alcun modo come fattore di attrazione.

E in tutto questo, i giornalisti intercettati?
Quanto ai giornalisti intercettati, sia quelli non ostili sia quelli ostili alle attività delle Ong, sono stati quelli che di quella attività di soccorso hanno scritto. I giornalisti possono essere intercettati nel momento e nella misura in cui una persona indagata viene intercettata e si trova a parlare con un giornalista. Ma quello che è pazzesco è che le trascrizioni di queste intercettazioni siano allegate agli atti. La cosa veramente grave è questa. Poi, seconda annotazione, fa un po’ sorridere che si dica che in realtà la giornalista attenzionata è una sola, Nancy Porsia. Quasi che il fatto che si tratti di una sola cambi la realtà della situazione. È un dispositivo linguistico fantastico questo. Quando tu dici in realtà è una sola, stai proprio negando che possa esistere una questione di principio, ovvero una questione di diritto. Si dice non è questione di diritto, non esiste una questione di principio perché è stata intercettata una soltanto, laddove il principio e il diritto si fondano, entrambi, esattamente sulla violazione. La violazione, non il numero dei violati, costituisce l’offesa. Quando si afferma, a mo’ di giustificazione, che era soltanto una la persona intercettata, stai dicendo che non esiste la questione di principio libertà di stampa, che non esiste un diritto a tutelare la libertà di stampa. Basta e avanza per essere allarmati.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.